Nozioni botaniche utili agli apicoltori

ape

Levone

Marzo 2020

di Ezio Facelli

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Introduzione

Alla luce degli eventi che sempre più velocemente interessano il mondo, inteso proprio come Pianeta Terra, coinvolgendo piante ed animali, inclusi gli esseri umani nella loro globalità, mi sembra utile fornire a tutti coloro che si occupano di ambiente, agricoltura/allevamento e apicoltura quante più notizie possano servire a velocizzare il cambio di rotta improrogabile che riguarda tutte le generazioni compresenti sul Pianeta, da oggi ai prossimi 20 anni. Non è certamente la prima volta che cambiamenti climatici stravolgono gli “equilibri” raggiunti dalla natura (anche se equilibrio in natura non significa MAI stasi) ma è certamente la prima volta che il genere umano si trova ad affrontarli in modo consapevole e collettivo…proprio perché non sia anche l’ultima volta! Questo corso vuole essere un primo nucleo attorno al quale si possano aggregare le notizie, gli eventi, le sperimentazioni e le soluzioni ai problemi man mano che arrivano, in modo dinamico e collettivo, proprio come la natura ci insegna. Dallo studio della co-evoluzione di piante e animali e, nello specifico, di piante e insetti abbiamo imparato – da Darwin padre in avanti – che le piante, essendo organismi viventi al pari degli animali (val la pena di ricordarlo) hanno optato per una vita essenzialmente sessile, cioè radicata all’ambiente (tranne alcune eccezioni) e che per le loro funzioni vitali hanno sviluppato una indipendenza pressoché totale. I vegetali sono infatti indipendenti dal punto di vista della produzione del cibo, hanno imparato, non potendosi muovere, a utilizzare l’energia solare attraverso la fotosintesi clorofilliana che garantisce loro la completa autosufficienza alimentare e per questo sono definiti autotrofi. A questo proposito voglio citare un vecchio episodio che mi riguarda: alle scuole medie ebbi un confronto serrato con la professoressa di scienze che, seguendo la scaletta didattica, riportò sulla lavagna uno schema in cui le piante erano inserite al livello meno “evoluto” tra gli esseri viventi, appena sopra i minerali e i funghi. A me non pareva ragionevole che un essere vivente che poteva alimentarsi senza dipendere dagli altri, che nutriva tutti gli altri e che riusciva a permettere l’esistenza propria e degli animali tutti, uomo compreso, potesse essere considerato meno evoluto di me che, senza acqua, cibo e soprattutto aria, non avevo grandi possibilità di cavarmela; Dal mio punto di vista e anche secondo le leggi di natura è più evoluto quell’organismo che non dipende da altri… A 12 anni non potevo certo pensare di cambiare i parametri coi quali era costruita la scaletta evoluzionistica, decisamente antropocentrica, che ora le recenti scoperte cominciano a far vacillare. Ma basiamoci sui dati scientifici e addentriamoci in quella parte del mondo vegetale che ci interessa per le sue implicazioni con il mondo animale e, nello specifico, con gli insetti.

Il fiore: Cenni evolutivi e struttura

Le piante non hanno sempre avuto i fiori, infatti il fiore è una “invenzione” delle Angiosperme cioè di quel grande raggruppamento di piante (praticamente tutte, tranne le Conifere) che hanno ovuli nell’ovario e semi protetti inclusi in un frutto. Un po’ di storia… I fiori sono l’evoluzione delle piccole foglie che erano raggruppate all’ estremità degli steli: alcune specie, come la Fritillaria imperialis, ce lo ricordano ancora

Fritillaria imperialis

In seguito esse persero il colore verde e iniziarono a svilupparsi nelle strutture a petalo e brattea, che riconosciamo oggi nei fiori (es. Euphorbia pulcherrima, la nota Stella di Natale)

Euphorbia pulcherrima

I petali e le brattee sono colorati e spesso profumati per attirare gli impollinatori, che già 100 milioni di anni fa, quando vennero alla luce le prime piante fiorite, offrirono una splendida soluzione alla loro immobilità. Tra le piante fiorite prevale la riproduzione incrociata invece di quella autogama (autoimpollinazione)e per far questo vedremo che il fiore stesso è strutturato per evitare l’autoimpollinazione attraverso alcune strategie, tra cui la diversa maturazione del polline rispetto ai propri ovuli, la dislocazione degli organi maschili e femminili su fiori diversi della stessa pianta (piante monoiche) o su piante diverse (piante dioiche). Accoppiarsi con individui non imparentati incrementa così la varietà genetica, diffondendo i geni nella popolazione e andando a migliorare l’adattamento delle piante a variazioni, come quelle climatiche in corso, della generazione successiva. Personalmente considero preziose le piante nate da seme, rispetto a quelle riprodotte agamicamente, proprio per questo motivo… Vedremo anche le ricompense che le piante producono per gli impollinatori, ma possiamo dire che le api prediligono il nettare più dolce e scelgono i fiori con maggiore quantità di zuccheri. Gradualmente, tra i fiori, hanno avuto la meglio quelli dotati del nettare più ricco; si tratta di un rischio calcolato: se i fiori offrono troppo poco, le api non arrivano; un’offerta sovrabbondante significa invece aver sprecato energie preziose. Ricordiamoci che fiori e insetti si sono coevoluti simbioticamente, ma sia gli uni che gli altri prima di tutto badano a se stessi, soddisfacendo i propri bisogni. Per comprendere il vero significato dei fiori è necessario conoscere come sono fatti nelle loro parti costitutive… Ho scelto un fiore di giglio (Lilium)

Lilium fiore

perché in esso sono ben evidenti i dettagli, ma la stessa anatomia è presente nei fiori pieni di increspature come rose, garofani, crisantemi, ecc.

Disegno fiore

A partire dalla cima del fiore, vediamo quell’asta lunga, denominata pistillo, che è l’organo sessuale femminile del fiore; il pistillo presenta tre sezioni: lo stilo che è l’esile gambo, lo stigma che è l’estremità, e l’ovario, collocato sotto ai petali. Alla sua estremità lo stigma è umido e appiccicoso per cogliere e trattenere il polline che arriva da un impollinatore o, come nel caso del giglio, anche da una brezza passeggera. Dalla base del fiore spuntano gli stami (organo sessuale maschile), che circondano la parte allungata del pistillo: sono più corti e più in basso dello stigma, proprio, come dicevamo, per ridurre la possibilità di autofecondazione; a seconda del fiore possono essercene pochi o molti…il giglio ad esempio ne ha 6. In cima a ciascuno di essi ci sono 2 strutture, si tratta delle antère che contengono migliaia di particelle di polline, simile a polvere. Quando il fiore matura, le pareti delle antère si ripiegano e liberano il loro prezioso carico. Di dimensioni microscopiche e di forma tipicamente rotonda oppure ovale

disegno polline

in genere i granuli di polline sono gialli o arancioni e tuttavia, a seconda della specie, se ne trovano anche di rossi, verdi, azzurri, viola, bianchi o quasi neri.

Granuli pollinici tipi
Granuli pollinici colori

Normalmente sono ricoperti da un rivestimento oleoso che facilita loro aderire agli impollinatori. I granuli sono adorni di solchi, creste, pori, protuberanze e spine secondo schemi che costituiscono un elemento distintivo quasi unico come le nostre impronte digitali. Questo consente ai botanici, attraverso l’analisi melissopalinologica, di poter dire a quale specie appartiene il polline che è contenuto nel miele… Sotto il pistillo e gli stami troviamo i petali del fiore a formare la corolla, e al di sotto di questi ci sono i sepali, che in genere sono verdi. Infine troviamo l’ovario, ingrossato, spesso verde che costituisce la base del pistillo. Se lo sezioniamo in senso longitudinale possiamo vedere le cavità dove alloggiano gli ovuli che a fecondazione avvenuta saranno i futuri semi (embrioni)

Ovario sezione

A seconda della specie, gli ovuli possono essere molti oppure uno solo, in ogni caso dentro ciascuno di essi si trovano il sacco embrionale e le altre cellule riproduttive.

  • La fecondazione, ovvero la doppia fecondazione.

Si definisce doppia fecondazione questo elemento caratteristico delle Angiosperme, che possiamo chiamare più semplicemente “le piante fiorite”, perché non coinvolge una ma bensì due cellule spermatiche: una feconda l’ovulo vero e proprio e l’altra innesca la formazione dell’endosperma, quel tessuto amidaceo che servirà a nutrire l’embrione nella germinazione. La fecondazione inizia quando il granulo pollinico si deposita sullo stigma appiccicoso del pistillo. Ogni granulo si gonfia fin quasi ad esplodere, quindi germina in un tubicino (tubulo pollinico) che si infila nello stilo e si fa strada così verso l’ovario; quasi contemporaneamente nel tubulo viaggia una cellula generativa che, dopo alcune ore o dopo giorni, giunta in prossimità dell’ovario, si divide in due cellule spermatiche pronte a compiere la doppia fecondazione. I cromosomi della prima cellula spermatica si fondono con la cellula uovo che si svilupperà nel minuscolo embrione della futura pianta e si troverà all’interno di ogni seme. I cromosomi della seconda cellula si fondono con cellule diverse che, abbiamo visto, si trovano già anch’esse nel sacco embrionale, trasformandosi in endosperma.

Disegno tubulo pollinico
disegno microscopio
  • Ricompense floreali

Come già detto, il prodotto vero delle api è l’impollinazione delle piante, ma affinché questa avvenga le piante ricorrono a molteplici strategie per attirare gli impollinatori. Qui ne tratteremo alcune, ma chi fosse interessato ad approfondire l’argomento al termine del corso troverà una breve bibliografia di riferimento. Per le api e per qualche altro impollinatore, i fiori sono veri e propri “punti di ristoro” che offrono una grande abbondanza di cibo. I fiori, per molte specie di insetti, rappresentano anche il posto più utile per l’accoppiamento e per insetti o aracnidi predatori diventano luoghi in cui appostarsi per la caccia, approfittando della distrazione delle prede… Inoltre molti insetti ricercano i fiori per il calore che contengono, questo lo riscontriamo spesso nelle regioni artiche e alpine; i petali possono essere delle parabole che non solo riscaldano gli insetti ospiti ma accelerano anche lo sviluppo degli ovuli nell’ovario, visto che in condizioni estreme il periodo primaverile/estivo è breve. Ovviamente la ragione più importante per la quale i fiori vengono visitati da insetti e altri animali è l’alimentazione. Nei fiori si trova cibo nutriente per sé e per la prole. Gli esemplari adulti di molte specie di insetti cercano cibo da cui trarre energia per volare o per riscaldarsi, ma altri insetti, come le api e certe vespe specializzate, riportano il polline all’alveare o ai nidi isolati, dove i granuli ricchi di proteine nutrono le loro larve. I fiori producono quattro tipi di sostanze alimentari come ricompensa per attrarre i pronubi e per far sì che memorizzino il posto e tornino successivamente… questi alimenti sono il nettare, il polline, gli oli floreali e i tessuti commestibili di alcune specie di piante fiorite. Il nettare è il liquido dolce e acquoso secreto dalle ghiandole collocate alla base dei petali di buona parte dei fiori, ma talvolta può essere prodotto altrove, come vedremo in seguito.

Liriodendron tulipifera fiore

Gli zuccheri contenuti nel nettare ricompensano api, vespe, mosche, farfalle, falene, uccelli, piccoli mammiferi coi quali le piante spesso costituiscono veri e propri contratti in esclusiva… ma questo è un argomento che meriterebbe un corso apposito, qui ci serve capire che il nettare è prodotto in parti del fiore che costringono l’impollinatore a introdurvisi, strofinarsi contro gli stami per raggiungerlo in modo che il polline gli si incolli addosso, per poi essere trasmesso al fiore che successivamente l’insetto visiterà. Il nettare florale è una miscela acquosa di tre zuccheri- saccarosio, glucosio e fruttosio- ma può contenere anche altri zuccheri minori; alcune api sociali, come l’Apis mellifera, con tutte le sue sottospecie, riescono a trasformarlo in quel “combustibile fossile”, che noi chiamiamo miele, immagazzinabile per affrontare i rigori invernali. Benché importante come alimento per le api, il nettare non è indispensabile quanto il polline che ricavano dai fiori, senza il quale loro stesse non potrebbero vivere né nutrire la covata. Il polline contiene fino al 60% di proteine, tutti gli aminoacidi essenziali, diversi lipidi e gli antiossidanti di cui necessitano le api. Tuttavia non è affatto semplice per le api procurarsi queste sostanze: per quanto minuscoli, i granuli pollinici sono molto resistenti, tipo palline da golf rinforzate, con un nucleo iper-nutriente appiccicoso. Le loro pareti esterne sono un bio-polimero, una vera plastica naturale talmente resistente agli agenti chimici che granuli di polline fossili sono stati ritrovati in sedimenti antichi di 100 milioni di anni… Ma questo non basta a fermare le api che attuano una strategia particolare per mangiare il polline, altrimenti indigeribile: ne estraggono l’interno ricorrendo ad una combinazione di shock osmotico, che induce i granuli a gonfiarsi e a scoppiare (vi ricorda qualcosa?) in modo che alcuni enzimi, presenti nell’apparato digerente dell’insetto, possano aggredirli rendendo assimilabile le sostanze nutritive.

Le piante arbustive ed erbacee utili agli insetti pronubi

Abbiamo visto la differenza che passa tra nettare e polline, ma se alcuni di voi hanno domande in merito questo è il momento per porle, in modo da poter proseguire senza lacune.
Nell’attività apistica dei prossimi anni uno dei concetti da coltivare e far emergere è il seguente: “portare le piante alle api e meno le api alle piante”. Finora infatti il nomadismo è stata una pratica che ha consentito all’uomo di produrre mieli monoflorali, spostando le arnie sui luoghi di fioritura delle piante. Questa pratica, se non estremizzata, non va demonizzata ma se nomadismo significa caricare arnie a Bolzano e portarle in Sicilia per produrre miele di zagara, questo è uno stress per le api, un costo per l’uomo, una delle strade più veloci per diffondere i parassiti.
I primi casi drammatici di Sindrome da spopolamento degli alveari nel Nordamerica, che hanno messo in ginocchio l’apicoltura statunitense e canadese, ci dicono chiaramente che è giunta l’ora di cambiare rotta. Alcune grandi aziende agricole, frutticole nello specifico, che basavano la loro produzione sulla collaborazione con gli apicoltori per garantire l’impollinazione degli alberi (un altro esempio a dimostrazione che questo è il vero prodotto datoci dalle api), dopo il disastro hanno deciso di investire nella trasformazione delle loro aziende, piantando semplicemente arbusti fioriferi, utili agli insetti pronubi, sulle superfici cosiddette marginali delle proprietà. Trattandosi di aziende americane, che hanno l’estensione di una provincia italiana, l’impatto ambientale è stato notevole e già l’anno successivo si sono misurati i primi risultati positivi, tanto che non era più necessario far giungere i Bombi o le Api da centinaia di chilometri ma molti insetti erano di nuovo, dopo anni, spontaneamente presenti in azienda!
Una modifica territoriale di questa portata da noi può attuarsi agendo su più aziende ma anche su terreni da rimboschire o aree dismesse, non prettamente agricole. Dal mio punto di vista anche con l’introduzione di piante mellifere nei giardini privati (tra le specie che vedremo esistono molte varietà ornamentali, adatte allo scopo) si può dare un forte contributo, nel tempo, al miglioramento della situazione.

Ape su Pero
Ape su Melo

Le arbustive

Molte piante che vedremo sono vecchie conoscenze, più diffuse in passato quando l’agricoltura era praticata in modo meno intensivo; altre, pur provenienti da lontano, si sono dimostrate utilissime e ben integrate a livello ambientale. Ne ho scelte alcune tra quelle più importanti e utili alle api soprattutto nelle stagioni di magra, quando scarseggiano le fioriture; in un territorio equilibrato non dovrebbe essere mai necessario nutrire artificialmente le api! Ed è a questo obiettivo che dovremmo tendere…. Già, perché se vogliamo davvero cambiare le cose è dal punto di vista delle api e delle piante che dobbiamo partire: non sarà mai un errore, basta usare la logica; siamo noi a dipendere da loro e non il contrario quindi, se pensiamo al loro benessere, il nostro sarà una logica conseguenza.

  • Acer campestre. (Oppio, Testucchio)

E’ considerata una pianta mellifera, anche se il miele di Acero è raro; questa specie si presta bene ad essere coltivata sulle “masere” interpoderali tipiche del nostro Canavese, dalla montagna alla pianura, come ceduo per produrre legna da ardere. Ottimo per il consolidamento delle scarpate. Fioritura Maggio

  • Arbutus unedo. (Corbezzolo)
Acer campestris
Arbutus Unedo

Nelle zone mediterranee ci dà l’ultimo miele della stagione; da noi ormai sopravvive benissimo ai geli invernali purché cresca a ridosso di muri a secco o di edifici, oppure sui lati delle nostre montagne esposte al sole di mezzogiorno. Cresce benissimo su terreni acidi. Le api hanno imparato a sfruttare i buchi fatti dai Bombi sul lato del fiore fatto a botticella, per suggerne il nettare in fondo

Bombo su Corbezzolo

Interessante la sua capacità di resistere al passaggio degli incendi con l’emissione di polloni dal colletto. Utile anche per il legno molto duro e i frutti eduli seppure poco gustosi…. Fioritura da Ottobre a Dicembre. Il miele uniflorale di Corbezzolo è un prodotto di nicchia e viene venduto a € 44,00 al Kg. Ovviamente per produrlo bisogna disporre di ampie estensioni, oppure trovarsi in habitat dove la pianta popola spontaneamente ampie superfici, come la Sardegna.
Crataegus monogyna. (Biancospino)

Crataegus monogyna

Il Biancospino offre riparo anche a insetti utili ai frutticoltori perché antagonisti di molti fitofagi; viene molto bottinato dalle api e se fosse presente in quantità considerevole, insieme agli altri rappresentanti del genere Crataegus, ne ricaveremmo sicuramente miele monoflorale: uno dei risultati che nei prossimi decenni potremmo ottenere se continuiamo a piantare. Si adatta bene a tutte le esposizioni, sia come arbusto o piccolo albero di sottobosco, sia lungo le aree esposte al sole. Molti suoi “cugini” sono utilizzati come alberi o arbusti ornamentali in parchi e giardini come il C. laevigata, il C. oxiacantha e il genere Pyracantha  molto usato per siepi. Anche il C. azarolus (Azzeruolo) e il C. crus-galli sono utili benchè con portamento ad albero. Fioritura Maggio.

Camellia oleifera

Camellia oleifera fiori

Camellia chinensis (Tè)

Camellia chinensis

Queste Camelie insieme alla Camellia sasanqua

Camella sasanqua

più coltivata come arbusto ornamentale nei giardini, sono molto visitate dalle api perché fioriscono in pieno Inverno. Si adattano bene come sottobosco in terreni acidi e sono molto rustiche. E’ una delle nuove piante che potrebbe essere inserita in natura, vista la sua presenza in Asia su terreni montani molto simili ai nostri.

  • Cornus mas. (Corniolo)
Cornus mas

In passato era fonte di nutrimento anche per l’uomo ma la sua diffusione è limitata e merita invece di essere incentivata poiché, vista la sua precoce fioritura in Febbraio e fino ad Aprile, può essere un’ottima risorsa in tempi duri per gli insetti pronubi. E’ considerata una discreta nettarifera insieme al Cornus sanguinea (Sanguinello)

Cornus sanguinea

che però fiorisce in Maggio/Giugno.

  • Corylus avellana. (Nocciolo)
Corylus avellanae Contorta
Corylus avellana amenti

E’ assai diffuso, sia nella sua forma selvatica, sia in agricoltura. Le piante coltivate sono spesso trattate chimicamente, in modo anche pesante con insetticidi e con erbicidi, quindi rappresentano per il momento un danno più che una risorsa. La specie tipica invece è interessante perché fiorisce tra Dicembre e Febbraio e allo stato attuale è pressoché l’unica pianta che traghetta le api verso la primavera. Le api visitano il Nocciolo per il polline dal quale traggono nutrimento.

  • Cotoneaster ssp

Questo genere ci interessa per la velocità di crescita, la buona adattabilità a terreni ed esposizioni difficili e la ricca fioritura. Presenti nei giardini in tutte le loro specie, si stanno rivelando utili anche nel consolidamento di scarpate in montagna e collina.

Le specie più usate con fioritura da Maggio a tutto Luglio sono:

  • Eleagnus pungens

Arbusto sempreverde e di crescita veloce, molto rustico con ricca fioritura in Ottobre/Novembre, molto frequentato dagli insetti. E’ considerato un invasore perché tende a sovrastare le altre piante “appoggiandosi” ad esse con rami lunghi che partono dal colletto, ma questa caratteristica, di vitalità, si rivela utile quando si tratta di colonizzare velocemente aree che hanno subito danni. I frutti sono molto ricercati dagli uccelli e quelli della specie E.umbellata (Goumi del Giappone) sono anche commestibili

Eleagnus pungens
  • Ligustrum ssp. (Ligustro)

Sia i nostri L. ovalifolium (usato per le siepi) e L. vulgare allo stato selvatico sono utilissimi per la loro ricca fioritura che quest’anno si è dimostrata buona e durevole in Maggio/Giugno. Ma anche i nuovi arrivi come L. lucidum e L.obtusifolium si rivelano ottimi per i pronubi e si stanno rapidamente diffondendo in natura anche nei nostri ambienti, il primo fiorisce in Luglio/Agosto e questa caratteristica lo rende particolarmente interessante.

  • Mahonia aquifolium

I cambiamenti in corso popoleranno di sempreverdi anche i nostri paesaggi e al Lauro nobile e all’Agrifoglio si aggiungeranno Corbezzoli, Eleagni e anche le Mahonie, che dai giardini hanno già iniziato la colonizzazione riempiendo spazi nuovi. Sono interessanti per la fioritura precoce in Marzo/Aprile e la facilità di coltivazione.

Mahonia aquifolium
  • Malus floribunda. (Melo da fiore)

Presente con tanti ibridi adatti ai giardini, ma in natura diffonderei preferibilmente la specie tipica, utile anche per l’impollinazione incrociata di molte varietà di Meli da frutto. Anche il selvatico Malus sylvestris può essere utilizzato ma è più difficile da reperire e molti suoi cloni sono sensibili a parassiti come l’afide lanigero. Fioritura in Aprile.

  • Prunus spinosa. (Prugnolo)

Ancora presente nei nostri ambienti merita di essere più diffuso. Fiorisce in Aprile ed è adatto a formare siepi difensive viste le sue spine. I frutti e i fiori sono commestibili.

Infine…Anche la Lavanda (Lavandula spica sin- L.latifolia, L. angustifolia) il Rosmarino e i generi di Ginestre come CytisusGenista, Spartium sono utili allo scopo, ma abbiamo scelto quelle piante che si stanno rapidamente acclimatando, senza causare danni al nostro ecosistema, per darvi alcune possibilità di combinazioni diverse, in base al luogo da piantumare e alle epoche di fioritura, privilegiando specie che fioriscono lontano dalle grandi fioriture classiche (Robinia, Tiglio, Castagno…) Importante è la scelta di cosa piantare e dove: in un ambiente, ancora non colonizzato dalle nuove piante, insisterei con le vecchie specie già presenti per preservare un equilibrio esistente, laddove ci sia ancora; mentre in situazioni diverse, dove è possibile e anche auspicabile sperimentare, possiamo scegliere tra le essenze “nuove” più utili al nostro scopo.

Ape su Rosmarino

Le erbacee

  • Brassica Juncea

Si tratta di una specie di Colza; esistono attualmente in commercio due selezioni di sementi a base di B. juncea in grado di apportare da 110 a 156 tonnellate ad ettaro di biomassa trinciabile, con un contenuto di azoto organico da 45 a 50 unità per ettaro.
L’optimum di sviluppo si raggiunge con pH compresi tra 5,5 e 6,8 e precipitazioni medie. Nei nostri climi si presta alla coltivazione primaverile o autunnale. Viene impiegata quasi esclusivamente come pianta da sovescio (interramento della coltura nel terreno) per il suo alto potere biocida naturale, ottimo sostituto del bromuro di metile, tra l’altro vietato dalla legislazione italiana dal 2005. Allo stesso tempo, la fioritura assicurerà una nuova fonte di nettare alle nostre api. Tutte le brassicaceae hanno una buona potenzialità mellifera accompagnata al potere biocida nel terreno. Ho scelto di parlarvi di Brassica juncaea perché la ritengo tra tutte la più interessante: in Emilia si è potuta constatare l’eliminazione dai terreni (infestati del 100%) di un nematode galligeno, Meloidogyne incognita, dannosissimo all’apparato radicale di molte colture agricole. La sua resa in termini di miele ad ettaro è simile alla Brassica napus, la colza vera e propria, che si aggira sui 100 kg/Ha.

  • Phacelia tanacetifolia

E’ una pianta erbacea stagionale a fiore azzurro (colore apprezzato dalle api e le piante lo sanno bene…), originaria del Nordamerica. Si semina in primavera e fiorisce dopo sei settimane dalla semina. La fioritura può perdurare fino a dieci settimane, clima permettendo. Interessante per l’agricoltore illuminato che voglia provare ad introdurne la coltivazione, affiancandola al mais o al frumento (vedi P.A.C. in materia): alcune grosse aziende alimentari premiano quegli agricoltori che dedicano almeno il 10% della superficie, coltivata a cereali, alla coltivazione di essenze mellifere come questa, con un significativo aumento del prezzo pagato.
Le prime stime parlano di 1.000 Kg di miele ad ettaro, che potrebbero essere una ulteriore fonte di reddito per l’agricoltore che decida di diventare anche apicoltore… Ne esistono anche belle specie adatte al giardino come Phacelia campanularia

  • Borago Officinalis

Altra pianta a fiore azzurro molto conosciuta è la Borragine, ottima mellifera, che può avere impiego simile alla Phacelia con una produzione di miele stimata in 500 kg ad ettaro. Molto usata in Svizzera dove si produce un pregiato miele monoflorale, la Borragine presenta il valore aggiunto della produzione fogliare, ricercata da aziende produttrici di pasta fresca per il ripieno.

Borago officinalis
  • Onobrychis vicifolia

La Lupinella, oltre ad essere un ottima mellifera con 500 kg ad ettaro stimati di miele, è anche una leguminosa utilissima se sovesciata come apportatrice naturale di azoto nel terreno, grazie alla presenza di batteri azoto-fissatori nelle sue radici.

Onobrychis vicifolia
  • Trifolium resupinatum

Si tratta di un Trifoglio particolarmente appetito dalle api con produzioni di miele ad ettaro che si aggirano intorno ai 750 kg. Anche questa pianta erbacea è una leguminosa e come tale utile per il naturale apporto di azoto, riducendo o addirittura eliminando l’uso di concimi chimici azotati.

Trifolium resupinatum
  • Fagopyrum esculentum

Si tratta del Grano saraceno; originario dell’Himalaya ben si presta ad essere coltivato in quota ma ben si adatta anche alla pianura. Il prodotto in granella ha un interessante prezzo di mercato per l’agricoltore che voglia sperimentare la sua coltivazione; la sua resa è di circa 600/700 kg ad ettaro. Il miele prodotto, 500kg/Ha, non è di gran qualità ma l’apporto in termini nutrizionali e rinforzanti del sistema immunitario delle famiglie di api è essenziale, così come l’apporto di nettare in tempi magri; fiorisce infatti in Luglio/Agosto, quando non vi sono grandi fonti di cibo per gli insetti pronubi.

Fagopyron esculentum
  • Melilotus officinalis

Il Meliloto è una mellifera adatta ad occupare terreni marginali ed incolti e non richiede alcuna cura particolare. La resa in miele ad ettaro è interessante poiché sfiora gli 800 kg/ha.

Melilotus officinalis bianco
Melilotus officinalis giallo
  • Coriandrum sativum. (Coriandolo)

Fiorisce a fine Luglio e può dare fino a 350 kg di miele/Ha. Da noi è ancora poco coltivato ma recenti sperimentazioni hanno dato risultati incoraggianti.

Coriandrum sativum
  • Helianthus annuus. (Girasole)

Lo conoscete tutti, anche se la coltivazione in pieno campo è ancora all’inizio, almeno nelle nostre zone. Fiorisce in Giugno e la resa per ettaro si aggira sui 40Kg di miele. Una particolarità: in coltivazione sperimentale si è osservato che le api non visitano i campi a girasole OGM…

Helianthus annuus
  • Medicago sativa. (Erba medica)

Anche questa pianta, ottima foraggera, impiegata per la produzione di foraggio pregiato (il famoso fieno alfa/alfa) nella zona del parmigiano reggiano, fiorisce in piena estate e dà una resa interessante: circa 135 kg/Ha di miele. Questa pianta, appartenente alla grande famiglia delle Leguminose, è una buona apportatrice di azoto nel terreno; spesso la troviamo presente negli spartitraffico cittadini o nei giardini pubblici, quando i tagli erba sono ridotti e la pianta riesce così a giungere a fioritura. L’erba medica rappresenta, da qualche anno a questa parte, un’ottima risorsa alimentare per le api cittadine.

Medicago sativa
  • Trifolium pratense (Trifoglio violetto)

E’ il classico trifoglio da foraggio che, se non viene sfalciato prima e se lo vogliamo usare per la produzione di miele, è opportuno lasciarlo fiorire; fiorisce in piena estate con una resa in miele di 160kg/Ha.

Trifolium pratense

Aggiungo alle precedenti altre specie di piante erbacee, stagionali e perenni che sono presenti nei P.A.C. (Politiche agricole comuni) e che possono essere utilizzate sia in miscugli sia in monocoltura, ma con una raccomandazione: nei miscugli in commercio a volte sono incluse piante non ancora adatte ai nostri climi, come la Sulla (Hedysarum coronarium), quindi attenzione agli acquisti!

Molte di queste ed altre essenze possono essere combinate tra loro in rotazioni (che consentano fioriture scalari dalla primavera all’autunno) o anche coltivate insieme ad altre colture, per sfruttare alcuni vantaggi: un esempio su tutti è quello delle Leguminose, che essendo apportatrici di azoto assimilabile dalle piante nel terreno, attraverso i batteri azoto/fissatori presenti sulle loro radici, possono sostenere la crescita delle Graminacee, se piantate vicine ad esse.

Azotofissatori su radici
ciclo Azoto

Oltre all’introduzione graduale su vasta scala di queste colture che sicuramente bonificano e arricchiscono il territorio (ad esempio: Brassica juncaea è utilizzata per la bonifica dei terreni intorno a Chernobyl), con le giuste combinazioni colturali si può raggiungere l’obiettivo multiplo di avere “più miele, con api più sane” e, allo stesso tempo, quello di avere i terreni “ripuliti” da parassiti, inquinanti e addirittura da semi di piante indesiderate.

Piante aliene…problema o risorsa?

Vorrei iniziare con una premessa:

Se venisse a mancare la straordinaria vitalità delle cosiddette piante “infestanti” dovremmo preoccuparci molto seriamente e ragionare in fretta su quanto tempo ci resta da vivere come specie su questo pianeta. Alberi, arbusti ed erbe vengono definite infestanti quando disturbano con la loro presenza la crescita delle piante che l’uomo ha scelto di coltivare. La storia è ricca di esempi di invasioni. Ricordandoci che i vegetali cosiddetti stranieri li abbiamo importati noi per svariati motivi, come vedremo, non ritengo che possano essere una minaccia ma, visti i tempi in cui viviamo, proprio la loro vitalità può rappresentare una risorsa. L’importante è che, pur avendo introdotto queste piante in modo un po’ troppo disinvolto, riusciamo ora a gestirne la diffusione a nostro vantaggio e soprattutto a vantaggio dell’ambiente.
L’Ailanthus altissima sin. Ailanthus glandulosa
Ailanthus altissima
Ailanthus altissima fiori

ad esempio, è stato introdotto in Italia centro-meridionale per alimentare l’industria della seta, in vista della costruzione di nuovi opifici al sud. Purtroppo questa decisione si rivelò tardiva visto che al nord la produzione di seta – prima derivante dal filugello che si nutriva dei Gelsi nostrani – era già stata soppiantata dalla nascita della viscosa e quindi dall’acrilico. Gli Ailanti però ormai c’erano e hanno cominciato a diffondersi, risalendo la penisola lungo le strade ferrate e prediligendo quegli interstizi che l’uomo lasciava liberi. È un albero molto invadente ma non longevo, un conquistatore rapido degli spazi che altre piante faticano ad occupare; non dico certo di cominciare ad allevare Ailanti che si diffondono rapidamente anche senza il nostro aiuto ma la sua diffusione mi ricorda una pianta che in passato è stata accusata allo stesso modo: parlo della Robinia pseudoacacia,

Robinia pseudoacacia
Robinia pseudoacacia con fiori

che si è diffusa rapidamente nei due secoli precedenti senza causare grandi problemi. Se non avessimo avuto la Robinia, introdotta -pare- in Italia da Alessandro Manzoni per scopi ornamentali nel suo giardino, molte colline e molti terreni abbandonati non si sarebbero rivestiti di ottima legna da ardere… Si sa che le piante, dopo un po’ di tempo, trovano il loro equilibrio modificando quello esistente, a volte – è vero – a discapito di quelle già presenti in loco, ma ricordiamo anche che senza la Robinia non avremmo potuto conoscere il miele di acacia! Dunque sta a noi decidere come utilizzare la vitalità di queste piante cosiddette “aliene” che spesso si moltiplicano da sole, sia per seme che da polloni. Un mio conoscente ha fatto analizzare il miele dei tetti di Parigi e ha scoperto che proviene per il 70/ 80 per cento da nettare di Ailanto, pianta che fiorisce quando le altre hanno già terminato, ed ecco perché diventa molto utile per le api… Voglio citare anche un albero molto diffuso nei viali cittadini di Torino: si tratta del Celtis australis,

Celtis australis
Celtis australis con frutti

chiamato Bagolaro, una pianta che veniva coltivata in pieno campo, come oggi vediamo fare coi pioppeti; il Bagolaro non serve alle api ma è comunque interessante … Quest’albero è stato introdotto nell’Ottocento, specialmente in Piemonte e più precisamente nel Canavese, per produrre frustini per cavalli. Il Comune di Nole Canavese, in particolare, ne è stato il maggiore produttore, esportandoli soprattutto in Argentina. Oggi di queste coltivazioni non esiste quasi più nulla, ma il tenace Bagolaro, chiamato “spaccasassi” per la sua particolarità di crescere nelle fessure, continua a diffondersi coi suoi frutti dolci, mangiati dai volatili e la tenuta delle sue radici contribuisce non poco a consolidare terreni franosi soprattutto in montagna, in zone molto soleggiate dove cresce anche come cespuglio.

Il Bagolaro è un esempio di come alcune piante siano riuscite a diffondersi spontaneamente e siano quindi ancora oggi ampiamente presenti nel nostro territorio, pur arrivando da lontano… Scopriremo che in realtà non sono molti i residenti autoctoni! Infatti anche il Melo, il Pero, il Pesco e l’Albicocco non sono piante autoctone, come invece comunemente si pensa: Melo e Pero molto probabilmente giungono in Europa dall’Asia centrale e i nomi latini del Pesco, Prunus persica e dell’Albicocco, Prunus armeniaca (Armugnan in dialetto canavesano) ricordano chiaramente la loro provenienza.
Prunus persica
Prunus armeniaca

Le piante hanno girato il mondo e gli uomini, grazie alla velocizzazione dei trasporti, le hanno aiutate nella conquista del pianeta, contribuendo spesso a creare disequilibri più o meno durevoli negli ecosistemi di arrivo. Alla fine però la natura rimette le cose a posto, basta darle tempo! I suoi tempi non sono come i nostri e, data la brevità della nostra vita di umani, non ci è possibile osservare i risultati, ma possiamo comunque usare la nostra conoscenza per innescare cicli virtuosi a favore delle generazioni future. Un esempio di bosco equilibrato è quello della Faggeta…  In questo ambiente pulito, libero da arbusti di sottobosco, il Faggio, Fagus sylvatica domina l’habitat dei versanti montani più freschi.

Faggeta
Fagus sylvatica

Questo è il risultato finale di un lungo ciclo, magari partito da un incendio, dove prima le erbe, poi i rovi e infine gli arbusti hanno via via creato le condizioni per la germinazione di faggiole, semi di Faggio, forse già presenti nel terreno o portate da uccelli e mammiferi… Certamente la cosa migliore che l’uomo può fare quando si trova davanti ad un bosco equilibrato è cercare di mantenerlo tale! Ma anche di osservare i segni del cambiamento che inevitabilmente prima o poi inizierà, magari lentamente oppure drasticamente… Ecco che allora la nostra intelligenza, grazie alla ricerca e allo scambio di informazioni, può aiutare a guidare il cambiamento.

Molte piante dei climi caldi, parliamo di cespugli spesso sempreverdi tipici di zone mediterranee o anche di aree montane asiatiche o americane (alcuni li abbiamo già citati precedentemente come l’Eleagno), si stanno rapidamente diffondendo nei nostri boschi e io credo che nei prossimi vent’anni vedremo sottoboschi più verdi anche d’inverno, sia in montagna che in pianura, soprattutto nei fondovalle. Il clima sta cambiando rapidamente, io stesso ho fotografato già 5 anni fa un Agave americana fiorita nel centro di Ciriè!
Agave americana
Agave americana con fiori

Una cosa impensabile solo fino a 30 anni fa… L’Agave segue l’Olivo, Olea europaea, in pianura e in montagna; esistono esemplari notevoli in tutte le vallate nelle zone più esposte. Ma non è la prima volta che ciò accade; in Piemonte l’Olivo insieme al Mandorlo, Prunus amygdalus (ne esiste un vecchio esemplare dinanzi all’entrata del Castello di San Giorio in Val di Susa), erano ampiamente coltivati fin dal Medioevo… in seguito, a partire dal terribile inverno del 1686, i cambiamenti climatici (non causati da una specie animale come oggi) hanno decretato la fine della loro coltivazione.

Oggi assistiamo ad un ritorno di piante mediterranee e, a differenza dei nostro progenitori, abbiamo gli strumenti per prevederne la durata. Tra gli alieni mediterranei troviamo l’Agave che arriva dall’America Centrale, ma anche l’Oleandro, Nerium oleander, che è asiatico e il Fico d’India, Opuntia ficus-indica, che a casa mia, Levone Canavese, ogni anno stupisce tutti con una ricchissima produzione di frutti: ne ho contati 28 su un solo cladodo (pala)!

E questi sono solo piccoli esempi: a sostegno di quanto sto dicendo provate ad osservare i boschi e vedrete plantule di Lauroceraso, Prunus laurocerasus, Alloro da cucina, Laurus Nobilis ma anche Ligustrum lucidum spuntare ovunque. Tutte piante sempreverdi arbustive e piccoli alberi che provengono da giardini dove, come abbiamo visto per la Robinia, sono coltivate a scopo ornamentale. Molte delle piante che ho citato (ma ve ne sono molte altre) sono utilissime per le api, quindi possiamo piantarle nei nostri giardini come piante ornamentali ottenendo un duplice scopo: abbellire il giardino e contribuire a migliorare un angolo di territorio, rendendo il giardino di casa nostra uno dei tanti tasselli che serviranno a modificare l’ambiente nella direzione che ci prefiggiamo in questo corso. Se possediamo ampi terreni e vogliamo rimboschirli per ridurne anche la manutenzione con la progressiva ombreggiatura, possiamo benissimo introdurle previo uno studio delle condizioni pedo-climatiche della zona.

Tra le piante arboree “aliene”, interessanti anche per una coltivazione in pieno campo su terreni incolti o marginali, spicca sicuramente la Paulownia, Paulownia tomentosa, pianta esotica originaria della Cina, importata nel 1800 in Europa. Il suo legname è leggero, molto adatto a confezionare scatole in legno, imballaggi (pallets) e perfino le arnie, ma si è dimostrata molto interessante anche per la produzione di miele! Le api la visitano costantemente ed è una di quelle piante che si sta diffondendo spontaneamente nei nostri boschi. Altra pianta sicuramente interessante è la Koelreuteria paniculata, proveniente dalla Cina orientale: è un piccolo albero molto ornamentale chiamato albero delle lanterne cinesi per via dei frutti. Ha un potenziale mellifero elevato e fiorisce un po’ prima dell’Ailanto al quale assomiglia. Altra star mellifera esotica che rappresenterà un valido aiuto agli insetti in questi anni di crisi è Tetradium daniellii o Evodia daniellii

Anche questa pianta è di facile coltivazione, teme soltanto i ristagni d’acqua ma è senz’altro un’altra valida risorsa per le api. La forte vigoria di queste piante, che ci spaventa molto e ce le fa definire infestanti, può dimostrarsi la carta vincente proprio per abbreviare i tempi nella corsa a riparare i danni che abbiamo causato all’ambiente. Tutte queste piante sono ottime mellifere ma è chiaro che per ottenere un miele monoflorale si dovrebbero a coltura grandi superfici, cosa abbastanza impensabile con le piante arboree vista l’estrema parcellizzazione delle proprietà in Italia. Ecco perché in questo corso ho preferito parlare di piante arbustive e soprattutto di piante erbacee che sono quelle coltivabili in pieno campo.

Fioriture minori spontanee

Spesso gli apicoltori mi chiedono dove le loro api riescano a trovare nettare e polline anche in periodi di magra, come la piena estate, nei nostri territori. Anche se il volo d’ape porta gli insetti ad esplorare il territorio fino a 3 km dall’arnia e oltre, si è osservato che le api tendono a procurarsi il cibo molto vicino a dove sono allocate. E qui entrano in gioco molte essenze, sia originarie che “extra comunitarie”, che si adattano a colonizzare terreni incolti o abbandonati. Un esempio di pianta infestante, ma io le chiamo spontanee, colonizzatrice per eccellenza dei terreni disboscati magari troppo pesantemente e che quindi non sono più ombreggiati dalle chiome degli alberi, è il Rovo comune con le sue specie da noi più diffuse Rubus fruticosus (la Mora classica) e Rubus caesius con sviluppo più contenuto. Quest’anno in particolare le api hanno tratto grande vantaggio dalla ricca e durevole fioritura del Rovo. I Rovi crescono velocemente per ricoprire il terreno che viene abbandonato dalle colture agricole o disboscato. La copertura crea rapidamente, in un paio di anni, le condizioni più adatte per la germinazione dei semi di piante arboree che, col tempo, ricostituiranno il bosco… Se notate, i Rovi tendono a crescere ai limiti dei boschi o nelle radure, proprio perché l’ombra li fa regredire quando la loro funzione è esaurita.

Tra le erbacee voglio citare la Solidago canadensis che, come dichiara il nome, proviene dall’America del Nord. Giunta da noi, come molte altre piante, attraverso scambi commerciali si è ben naturalizzata in terreni marginali e rappresenta una grande risorsa per gli insetti. Ho già parlato della Medicago sativa, l’erba medica che colonizza i prati poco sfalciati dai giardinieri comunali. Questa pianta è una foraggera per eccellenza ma è presente in natura allo stato spontaneo da sempre. Le api la visitano per il nettare anche se devono subirne il maltrattamento…Il suo meccanismo d’impollinazione, infatti, prevede uno “schiaffo” meccanico all’insetto impollinatore per caricarlo di polline; non dimentichiamoci che l’obiettivo delle piante è la riproduzione…

Solidago canadensis
Campo di Solidago canadensis

Altra pianta sempre più diffusa anche a causa dell’abbandono di boschi e giardini è la comunissima Edera, Hedera helix, che vediamo spesso conquistare colline intere dove un tempo si coltivava la Vite. L’Edera può fiorire soltanto raggiunta la maturità e una “posizione” adatta: dalla nascita e fino ai primi 3 o 5 anni si limita a strisciare sui terreni, ricoprendo anche vaste superfici con le sue classiche foglie a forma di edera per l’appunto… appena raggiunge un supporto adatto, spesso un albero decadente, comincia la scalata verso l’alto, dove cerca la luce solare e nel frattempo consolida il suo fusto legnoso che può arrivare a dimensioni di tronco; qui le sue foglie cambiano forma (vedi foto A) e si ovalizzano e ingrandiscono per poter effettuare una fotosintesi maggiore; a questo punto compaiono anche i fiori (vedi foto B) che attirano le api ed altri insetti in gran numero. Nelle zone dove sono ancora presenti prati stabili polifiti, composti cioè da molte specie di piante, la fioritura del Tarassaco, Taraxacum officinale, che si sovrappone in parte a quella del Ciliegio selvatico, Prunus avium, può darci anche dei mieli uniflorali nelle buone annate e in quei territori dove è diffusa un’agricoltura quasi di sussistenza. Anche il Fiordaliso, una volta molto più diffuso di oggi tra le spighe dei cereali che non erano sistematicamente diserbati, è un fiore molto visitato dalle api che, come abbiamo detto, prediligono spesso il colore blu ed è una delle piante delle quali si incentiva la semina nei piani agronomici della PAC.

Questi sono esempi che si possono comunemente osservare di piante utili ai pronubi, piante che non hanno certamente bisogno di essere coltivate dall’uomo (non mi sembra ancora il caso di impiantare rovi nei nostri giardini o nei terreni incolti…!)
Il nettare extraflorale …

Da non confondere con la melata, che è un prodotto animale derivante praticamente dalle deiezioni di varie specie di Rincoti Omotteri, che si nutrono della linfa delle piante che li ospitano, come il Tiglio e il Castagno, ma anche molte altre…

Ricordo ancora che il principale prodotto delle api è l’impollinazione e non il miele: se non dimentichiamo questo concetto avremo senz’altro posto le basi per la conduzione di un alveare rispettoso della natura, delle api e dell’uomo!
Il nettare, come abbiamo visto, è invece quella sostanza ricca di zuccheri che le piante hanno imparato a produrre per “premiare” i loro fattorini. Non tutte le piante producono nettare, ma molte sono visitate lo stesso dalle api proprio per il polline o per altri secreti minori. Le rose, ad esempio, sono molto appariscenti, ma non hanno ghiandole nettarifere, come anche i Papaveri, Papaver rhoeas, o l’Actinidia chinensis (Kiwi). Le api visitano queste piante ma non ricevono in cambio alcuna ricompensa: il miele di Rosa canina (che ho avuto occasione di vedere alcuni anni fa ad una fiera di paese) non può esistere!

Le api prediligono i fiori a corolla semplice, dove gli stami sono ben visibili e soprattutto raggiungibili; quindi se decidiamo di piantare una rosa a misura di insetto nel nostro giardino, prediligiamo quelle varietà a fiore semplice e non doppio, dove l’affollamento di petali (spesso indotti dalle tecniche di ibridazione) rende praticamente sterile la pianta.

Le piante nettarifere, per eccellenza presenti nelle nostre zone, le conosciamo tutti, a cominciare dal Tiglio selvatico, Tilia cordata, ancora presente allo stato spontaneo in alcuni boschi dei nostri fondovalle, ma più diffuso come essenza da giardino, specialmente per la formazione di viali alberati, dove troviamo Tilia plathyphillos con le sue ibridazioni e Tilia tomentosa. Il Tiglio ci offre la possibilità di produrre miele uniflorale come anche il Castagno selvatico, Castanea sativa, la Robinia, Robinia pseudoacacia, (che in piemontese è detta “Gasìa”) il cui nome in latino ci dice chiaramente che non è un’Acacia, bell’albero della savana africana, suo parente, e il Rododendro, Rhododendron ferrugineum, presente in montagna che dà un miele molto delicato.

Tutte queste piante sono grandi nettarifere, ma la produzione di nettare può subire variazioni, non solo dovute alle piogge che possono indubbiamente rovinare la fioritura, ma anche variazioni nella qualità del nettare prodotto. Quest’anno, ad esempio, si è osservata una lunga fioritura del Ciliegio selvatico alla quale però non è seguita una altrettanto buona produzione di miele da parte delle api: il nettare di Ciliegio, dai primi studi effettuati, era per così dire “allungato” cioè poco ricco di zuccheri. Le osservazioni che possiamo fare per il momento, visto che non si ha ancora una statistica storica sulla quale basarsi, sono tutte concentrate sull’andamento climatico degli ultimi dieci anni. Gli ultimi tre, in particolare, hanno registrato picchi calorici molto alti! Quindi, un’estate dopo l’altra, le piante, che impiegano tempo a dare risposte, manifestano solo ora le sofferenze accumulate nel tempo… Altre piante, come le Betulle, Betula pendula, o i Faggi, Fagus sylvatica, soprattutto nelle sue belle varietà da giardino, se cresciuti in pianura o in zone collinari molto soleggiate stanno velocemente regredendo fino alla morte per disseccamento, che può avvenire rapidamente in qualche settimana.

Lo stress causato dal cambiamento climatico su queste essenze adatte a terreni freschi, ne sta causando lo spostamento verso l’alto, quindi in montagna, dove le zone cosiddette “all’inverso” ora diventano adatte allo scopo.

Voi direte, ma il nettare extraflorale allora cosa c’entra? Questa lunga premessa era necessaria per spiegare meglio quali sono le fonti principali di nettare disponibili per le api, quali sono le problematiche attuali e quelle che probabilmente ci aspettano nel prossimo futuro. Credo sia necessario un inciso: anche se da domani si riuscissero ad eliminare del tutto le emissioni nocive al pianeta, gli effetti deleteri del ciclo che abbiamo innescato durerebbero almeno per un decennio! Le piante che producono nettare extraflorale servono e serviranno sempre di più a supplire all’inevitabile decadenza di specie alle quali siamo abituati o alla variazione del loro nettare (vedi il Ciliegio di cui sopra). Tra queste una in particolare si trova bene da noi e come il Ciliegio appartiene alla stessa famiglia dei Prunus: parlo del comune Lauroceraso che abbiamo già visto, Prunus laurocerasus, e dei suoi cugini, come il Prunus lusitanica, e di gran parte delle varietà sempreverdi di Prunus, usate spesso per la formazione di siepi sempreverdi in parchi e giardini. Questo arbusto, che lasciato crescere può diventare anche un albero di media grandezza, si sta rapidamente diffondendo nei nostri boschi ed è una risorsa da tenere presente proprio perchè, oltre alla sua interessante e abbondante fioritura primaverile, che tanti non vedono (il Lauroceraso fiorisce e fiorirebbe se non fosse contenuto perlopiù allo stato di siepe e quindi sottoposto a ripetuti tagli), questa pianta produce da apposite ghiandole, ben visibili (nettàri) poste alla base della nervatura centrale delle foglie, una importante quantità di nettare (vedi foto). Le api lo assalgono spesso nel periodo estivo proprio per questo motivo

Le piante che producono nettare extraflorale sono anche dette piante mirmecofile, che hanno cioè un rapporto simbiotico con un altro importante gruppo di insetti sociali: le formiche. L’Acacia cornigera africana, ad esempio, le attira proprio col nettare prodotto da ghiandole sui rami per usare le formiche contro…gli elefanti che si cibano dei rami…ma questa è un’altra storia…Aggiungo ancora il Ciliegio selvatico che produce nettare extraflorale dai nettàri posti sui peduncoli foliari (vedi foto)

Acacia cornigera
Nettari su Ciliegio
Conclusioni

Mi occupo di piante dall’età di 4 anni, quando non potevo fare a meno di rubare talee dallo studio dentistico… Da ragazzo i temi dell’inquinamento ambientale mi toccavano profondamente e per quanto ho potuto e saputo fare me ne sono sempre occupato applicando nel mio lavoro un concetto basilare: ogni azione che compiamo può innescare un ciclo, che sia virtuoso o meno dipende soltanto dall’intenzione di chi compie l’azione. Se l’intenzione tiene conto del benessere proprio e dell’ambiente in cui si vive allora le probabilità di non fare danni nel tempo diminuiscono, altrimenti…Ora siamo nell’altrimenti!

Le previsioni nefaste di 40 anni fa sono già state superate dai fatti, ma al contempo è cresciuta la competenza di molti e si è osservato come la natura tenda ancora a ricostituire gli equilibri distrutti. Il ritorno di piante ed animali estinti nella zona intorno a Cernobyl è diventata una testimonianza vera di ciò che accadrebbe se l’uomo andasse in vacanza un paio di decenni…
Allora io dico, prendiamoci le ferie, ma non andiamo via e cominciamo a pensare e ad agire non come se piante ed animali fossero a nostra disposizione o di nostra proprietà, ma come se invece fossimo “tutti alla pari”; peraltro nella scala evolutiva l’uomo è l’ultimo arrivato!
Ricordiamo quello che molti uomini avevano già imparato in passato, penso ai nativi Americani, agli Aborigeni, alle popolazioni del Pacifico, ai Maori, ma anche ai popoli che abitavano l’Europa prima dei Romani e alle popolazioni semitiche originarie, che avevano imparato a convivere con l’ambiente abitandolo senza consumarlo: nessun parassita animale o vegetale è tanto stupido da uccidere l’ospite che lo nutre!
Da giardiniere spesso dico che siamo responsabili della scelta di cosa piantare o seminare ma soprattutto di dove: una pianta non si sposta, almeno non coi tempi e i modi che noi pensiamo. L’uso indiscriminato della chimica deve finire, le stesse società multinazionali stanno investendo in prodotti biologicamente compatibili anche grazie alle norme sempre più restrittive di molti governi, ma questo è solo l’inizio!
I giovani devono portare nuove idee per andare avanti, i vecchi la loro esperienza e la consapevolezza che non si smette mai di imparare: uno dei problemi dell’umanità è quello di lavorare pensando soltanto alla propria breve esistenza; invece le piante ci insegnano che se pensiamo come i nostri bisnonni contadini, che proprio in questa parte del Piemonte solevano piantare un albero di Noce, Juglans regia, perché i propri nipoti potessero fabbricarsi i mobili con quel legname, o come uomini illuminati tipo Sir Thomas Hanbury, che raccoglieva semi di Eucalyptus per seminarli in Liguria dove non li avrebbe mai visti nel pieno del loro sviluppo, allora la nostra esistenza cambia dimensione ed assume il ruolo che deve avere.
Juglans regia
Eucalyptus camaldulensis
ape
grazie
Bibliografia

Stephen Buchmann “La ragione dei fiori” edito da Ponte alle Grazie

Richard Mabey “Il più grande spettacolo del mondo” edito da Ponte alle Grazie