Le Piante: introduzione al mondo vegetale

Levone

15 Novembre 2021

di Ezio Facelli

Argomenti

Benvenuto ai partecipanti
Calendario incontri previsti
Finalità o meglio, intenti.

La materia vivente sulla Terra: collocazione dei vegetali.

Le piante sono vive? E i loro semi?

Le piante sono intelligenti?

Le piante sono una soluzione?

Conoscere le piante per usarle al meglio.

Tecniche agronomiche che NON danneggino più l’ambiente.

Verifiche

Date ed Orari

23 Novembre 2021
Orario: dalle 9.00 alle 12.00 a Ciriè sede DSP

25 Novembre 2021
Orario: dalle 9.00 alle 13.00 al Parco Regionale “La Mandria” ritrovo ore 8.45 parcheggio gratuito ingresso Ponte Verde

01 Dicembre 2021
Orario: dalle 9.00 alle 12.00 a Ciriè sede DSP

07 Dicembre 2021
Orario: dalle 9.00 alle 13.00 a Torino Orto Botanico e Parco del Valentino ritrovo a Torino ingresso Orto Botanico

15 Dicembre 2021
Orario: dalle 9.00 alle 12.00 a Ciriè sede DSP

22 Dicembre 2021
Orario: dalle 9.00 alle 13.00 a Lanzo Parco Ponte del Diavolo e aree fluviali Tesso. Ritrovo a Lanzo ingresso Parco Ponte del Diavolo

19 Gennaio 2022
Orario dalle 9.00 alle 12.00 Ciriè sede DSP

Le finalità di questo corso sono essenzialmente due: da un lato correggere la visione che gli umani hanno delle piante e dall’altro iniziare le persone alla conoscenza e al loro riconoscimento ( nel più ampio significato del termine).

Partiamo da una semplice constatazione di dati: le piante rappresentano il 97% della materia vivente presente oggi sulla Terra. Il restante 3% è occupato dai rappresentanti del mondo animale di cui la specie Homo sapiens coi suoi 7 miliardi di individui occupa lo 0,1%….

Le piante occupano tutti gli ambienti, dai fondali marini, alle acque libere, alle terre emerse centimetro per centimetro, senza consumarli e senza distruggerli. Anzi hanno imparato a produrre da sole quanto serve al loro nutrimento e al nutrimento di tutta la catena alimentare che sta sotto di loro.

E questi sono gli esseri che ancora fatichiamo a considerare viventi…pensiamo alle nostre locuzioni che definiscono in stato vegetativo chi subisce un grave trauma…solo perché non vediamo le piante muoversi. Con l’aiuto della tecnologia moderna e le intuizioni di scienziati coraggiosi che, a partire dai Darwin (padre e figli) fino ai neuro scienziati odierni, hanno scoperto e dimostrato quanto le piante siano evolute e intelligenti possiamo provare a rimodulare il nostro limitato sentire.

Se consideriamo l’intelligenza come “la capacità di adattamento e di trovare soluzioni ai problemi” possiamo ben riconsiderare la ormai sorpassata visione antropocentrica della scala evolutiva.

Già dalle scuole medie mi sono sempre opposto durante le ore di Scienze al concetto che poneva i vegetali nel gradino più basso della scala evolutiva e l’Uomo in cima alla piramide. Non capivo con quale logica gli esseri che erano in grado di autosostenersi e di fornre cibo e aria da respirare a tutti gli altri, potessero essere i meno evoluti …

La nostra era ci impone una veloce revisione di questi concetti alla luce delle nuove scoperte nel campo delle Neuro scienze vegetali, della Biologia e anche della Fisica.

Le soluzioni non vengono mai dalla Scienza ma dalle Scienze nel loro interagire.

Il cambiamento climatico in corso non è certamente il primo sul Pianeta e i vegetali non sono nuovi a questi episodi ecco perché è utile osservare le loro reazioni nel passato, codificate nella storia del loro patrimonio genetico, ma anche nel presente per utilizzarne gli insegnamenti e finalmente collaborare con questi esseri viventi alla pari, stabilendo l’unico accordo che potrà riportare la nostra specie a esistere senza accumulare, senza danneggiare la nostra casa, senza considerarci unici possessori della verità.

Dobbiamo imparare ad osservare prima di agire. Spesso NON agendo FACCIAMO già molto. Ricordiamo i due mesi di fermata delle nostre attività; l’inquinamento atmosferico della Pianura Padana, problema irrisolvibile da sempre, era finito e velocemente animali e insetti scomparsi sono riapparsi…questo ci indica la strada che attraverso l’uso della nostra intelligenza dobbiamo, e uso apposta questo verbo che non ci piace, dobbiamo intraprendere. Non abbiamo altra scelta.

L’alternativa è la catastrofe ambientale ma le piante, la natura, non se ne fanno un problema…per loro è solo questione di tempo e ricominceranno a vivere.

Le piante sono vive? E i loro semi?

Questo è Methuselah, (Matusalemme) la Palma da dattero nata da un seme vecchio di 2000 anni rinvenuto in uno scavo archeologico. L’antica Palma di Israele, specie dioica che porta su esemplari diversi le infiorescenze maschili e femminili attende con pazienza  la germinazione di un seme dal quale derivi l’esemplare portante i fiori femminili per poter vedere rinascere la sua specie. Questo è soltanto un esempio della longevità dei semi.

I semi contengono gli embrioni delle piante

e portano con loro il DNA della specie alla quale appartengono diffondendolo non appena si verificano le giuste circostanze anche dopo due millenni, quindi, poniamoci ancora la domanda: i semi sono viventi? E diamoci la risposta…

Il potere dei semi, che sono solo uno dei sistemi riproduttivi dei vegetali come vedremo più avanti, è fondamentale per la ricostruzione di ambienti danneggiati dalle attività umane e non. Si stima che in un metro quadrato di terreno si trovino in media, a diverse profondità, circa 10.000 semi. Questo assicura il veloce rivestimento dei terreni arati dall’uomo anche senza l’intervento umano della semina, come anche dei terreni incendiati o alluvionati. Soltanto nei casi delle nuove terre emerse come le isole vulcaniche più recenti che non hanno semi all’interno dei loro substrati perché formati dal magma raffreddato, si può osservare dopo tempo la nascita delle piante colonizzatrici portate dal mare, dagli uccelli o dal vento.

Qui vediamo la fotografia del tubulo pollinico che fuoriesce dal granulo di polline per andare a fecondare l’ovulo femminile. Il movimento è autonomo non dissimile da quello di uno spermatozoo animale … altro esempio di vita.

Ecco riportato lo schema del “viaggio” che il tubulo pollinico deve compiere dallo Stigma del Pistillo femminile fino agli ovuli contenuti nell’Ovario. Nella foto sopra diversi tipi di granuli pollinici al microscopio.

Le piante sono vive? Siamo partiti dai loro semi ed ora ci è forse più agevole capire che esseri con semi così vitali difficilmente potremmo considerarli non viventi almeno dopo queste informazioni.

Vediamo alcune caratteristiche poco conosciute: sempre parlando di semi, quelli di questa specie che si chiama Erodium cicutarium

descritta nella scheda qui sopra, si muovono in modo particolare non soltanto lanciandosi a parecchia distanza dalla pianta madre ma vanno oltre riuscendo con un movimento a “trivella” a penetrare nel terreno seminandosi da soli.

Vi invito a visionare il video qui di seguito:

Altro esempio di “spostamento” di una pianta lo troviamo nell’ Eleagnus pungens un arbusto sempreverde utilissimo agli insetti in inverno per la lunga fioritura che va da fine Ottobre a Dicembre inoltrato e utile poi agli uccelli per le sue bacche commestibili. Questa specie si sposta utilizzando rami lunghi oltre la norma, che si “lanciano” all’esterno della chioma spesso superando anche quella di altre piante vicine, fino a toccare il terreno per poi radicare e continuare col salto successivo…

Fino ad ora abbiamo parlato di spostamento di una pianta, inteso come un esemplare, ma le piante molto meglio di noi Umani che fatichiamo a riconoscere il nostro stesso DNA in un altro individuo della nostra specie, si spostano anche come specie.

Nella Pianura Padana il susseguirsi di estati calde negli ultimi dieci anni sta causando la morte di alberi provenienti da climi più freschi. Un esempio locale lo troviamo nel Parco della Mandria e in quello delle Vaude Canavesane, due avamposti in pianura provenienti dal ghiacciaio delle Valli di Lanzo che, al suo ritiro, ha lasciato questi grandi depositi argillosi coi suoi abitanti montani. Betulle, Castagni, Faggi, Pini silvestri non nascono di norma in pianura: spesso sono piantati dall’uomo ma in questo caso si tratta di un fenomeno naturale. Ultimamente le Betulle, i Faggi, e i Castagni di questi altopiani stanno velocemente deperendo, insieme a altri esemplari delle stesse specie presenti in parchi e giardini di tutta la pianura.

Per noi umani è un problema, Per le piante non proprio perché l’innalzamento della temperatura favorisce la nascita di quei semi quiescenti (i 10000 già citati) presenti nei pascoli di alta montagna, modificando il paesaggio ma garantendo la sopravvivenza di queste specie ad altre altitudini. Certo il cambiamento stavolta lo abbiamo indotto noi e dovremo anche porvi rimedio ma l’osservazione di come le piante si comportano ci aiuterà a scegliere come assecondarne le…decisioni.

Abbiamo parlato anche di intelligenza intesa come capacità di adattamento e di trovare soluzioni ai problemi. Le piante, prima della nascita del fiore, si riproducevano per mezzo di spore (Felci)

qui vediamo un particolare degli sporangi situati sulla pagina inferiore di una foglia e di seguito lo schema del ciclo riproduttivo

ma con la nascita del fiore le cose sono cambiate in fretta: spesso si parla di co-evoluzione di piante e insetti ad esempio giungendo al punto che oggi quasi ogni specie vegetale ha il suo impollinatore esclusivo. Ecco un esempio estremamente elaborato di come questa Orchidacea (Orchis scolopax) si è spinta oltre all’emanazione di colori e profumi per attirare il suo “partner”

giungendo ad imitare quasi perfettamente la forma femminile dell’insetto che le interessa…

Altri esempi evolutivi di fiori li troviamo nel genere Arum e Amorphophallus che attirano gli impollinatori notturni col loro profumo di carne decomposta…

qui sopra una foto di uno dei fiori più grandi al mondo Amorphophallus titanum e il suo collega nostrano Arum italicum fotografato in un giardino privato nel centro storico di Rivoli (TO).

Continuando a parlare dei fiori che sono forse l’aspetto che più attrae anche la nostra specie, tanto che proprio noi Umani siamo i maggiori trasportatori di materiale vegetale sul pianeta. Qualcuno pensa che lo stesso meccanismo che attrae gli insetti agisca anche su di noi, spiegando in gran parte l’impulso che ci spinge ad acquistare una pianta…meccanismo che nel commercio dei fiori e delle piante è ben conosciuto e sfruttato tanto da aver prodotto migliaia di nuove varietà e cultivar attraverso ibridazioni e riproduzione asessuata spinta al massimo livello.

Vediamo ancora qualche esempio di fiori particolari.

Qui sopra vediamo i fiori dell’Akebia quinata, una pianta rampicante molto robusta che porto ad esempio di fioritura monoica, cioè i fiori maschili e quelli femminili sono situati sullo stesso individuo.

Qui si tratta di un fiore inconsueto appartenente ad una specie che insieme alla sua parente Akebia trifoliata sono le sole rappresentanti del loro Genere.

Vediamo ora i fiori di una pianta molto conosciuta ma che spesso diciamo fiorita quando ne vediamo spuntare gli amenti maschili. Si tratta del Nocciolo, Corylus avellana, che come l’Akebia porta sullo stesso individuo i fiori maschili e quelli femminili … ma dove sono i fiori femminili?

Seguendo le freccioline si riescono a scorgere due minuscoli petali rossi…qui si formeranno le nocciole a fecondazione avvenuta.

Un altro fiore particolare è questo:

il fiore quasi sotterraneo dell’Aspidistra elatior, una delle piante molto diffuse nei giardini soprattutto in vasi che era conosciuta come la pianta che non fiorisce mai…ne è stato fatto addirittura un romanzo di George Orwell ”Fiorirà l’Aspidistra” del 1936 che fa riferimento alla rarità del fiore in quanto dura un solo giorno e pochi sanno della sua esistenza…a parte i giardinieri!

Fino a pochi anni fa si pensava che ad impollinare questi fiori fossero le limacce e le chiocciole ma uno studio in Giappone ha rivelato che il partner dell’Aspidistra sia un moscerino visitatore dei funghi in decomposizione che viene attirato dall’odore di fungo che il fiore emana … ecco il perché della sua insolita posizione.

Ne vediamo meglio le caratteristiche in questo disegno:

Un altro fiore che non si vede spesso (e per fortuna potremmo dire) è quello dei Bambù.

I Bambù sono piante erbacee tra le più grandi appartenenti alla grande famiglia delle Graminaceae che approfondiremo in seguito. Ora vediamo il fiore

che compare dopo un ciclo di vita di circa 50/60anni. Questa pianta longeva e veloce nella sua opera di colonizzazione tramite il suo organizzatissimo apparato radicale non ha bisogno di rinnovare il suo patrimonio genetico molto spesso e quindi fiorisce poco prima di morire…

Questo evento rappresenta un problema se si verifica contemporaneamente su territori molto ampi. Una sola colonia di Bambù può infatti essere considerata un unico individuo e può occupare aree di km quadrati…

Immaginate cosa succede se la fioritura avviene su una scala così vasta…Cosa mangerebbero i Panda che si nutrono esclusivamente di foglie di Bambù? O i Lemuri del Bambù del Madagascar? Ricordiamo sempre però che quando una pianta fiorisce rinnova il suo patrimonio genetico e produce semi, quindi il ciclo continua anche se dal punto di vista degli animali che si sono evoluti adottando una alimentazione così poco varia ne fanno le spese…

Vediamo ora un fiore più conosciuto

il Cardo comune è un parente stretto di un fiore che noi mangiamo quando è un bocciolo e cioè Il Carciofo, Cynara cardunculus,

che qui sopra vediamo a fioritura avvenuta. Questo non è l’unico esempio di bocciolo che noi mangiamo senza sapere spesso che si tratta di fiori, come il Cappero, Capparis spinosa

che qui vediamo sia in fiore, sia in bocciolo…

Alcune piante hanno i veri fiori molto piccoli e per rendersi più visibili aggiungono degli abbellimenti vistosi e colorati usando trasformazioni fogliari chiamate brattee, come le comuni Ortensie

qui sopra vediamo la fioritura di una Ortensia (Hydrangea) appartenente al gruppo delle vecchie specie che erano state abbandonate dopo l’introduzione dell’Hydrangea macrophylla, specie creata dai giardinieri, che privilegia la presenza di brattee appariscenti che produce le fioriture sferiche grandi che siamo ormai abituati a vedere…

Le mutazioni genetiche, le ibridazioni, sono un fenomeno naturale, ecco un paio di esempi:

nella foto vediamo esemplari della comune Primula vulgaris di cui uno ha cambiato colore…da questi “esperimenti” evolutivi che sono costanti, possono generarsi nuove specie quando i nuovi caratteri si sono “fissati” nel DNA.

Ecco due piante di Melitthis melyssophyllum di colori diversi che apparentemente potrebbero sembrare due specie diverse…

una a fiore rosa e una a fiore bianco, fotografate a pochi metri di distanza sopra Givoletto (TO).

che gli Umani hanno sfruttato molto bene favorendo quelle caratteristiche estetiche, ma anche alimentari che vengono richieste dal mercato. La genetica ha certamente causato dei danni seri compromettendo la stessa esistenza di intere specie, indebolendone la vitalità e la capacità di riprodursi senza l’intervento umano.

La specie Zea mais, il comune granoturco che qui sotto vediamo insieme al Teosinte il suo antico progenitore ne è un esempio.

Certamente il raggiungimento dell’obbiettivo “pannocchia gigantesca” è giustificato dal bisogno di alimentare vaste popolazioni… ma l’ibridazione genera individui sterili e portata all’eccesso, scartando o eliminando del tutto gli esemplari originari possiamo causare la perdita di una specie con tutte le possibilità inesplorate che il suo DNA contiene.

Esistono possibilità di incroci tra piante delle stessa specie, ma anche dello stesso genere seppur con meno probabilità.

Questa che vediamo è l’infiorescenza della comune Edera (Hedera helix)

con le sue bacche mature, che sono molto simili a quelle di questa pianta,

la Fatsia japonica, molto lontana geneticamente. Eppure un ibridatore del passato è riuscito nel suo intento ed ha creato la Fatshedera x lizei ibrido e unico rappresentante di questa che non si può definire specie in senso stretto in quanto non potrà generare nuovi individui se non come cloni di sé stessa.

Questa pianta ha mantenuto la forma delle foglie dell’Edera ma ne ha aumentato le dimensioni, non è rampicante come la Fatsia ed è un prodotto commerciale come robusta pianta d’appartamento.

Oggi i genetisti stanno alacremente lavorando per favorire lo sviluppo di piante robuste e resistenti alle fitopatie, per eliminare o almeno ridurre l’impiego della chimica in agricoltura che è una delle principali fonti di inquinamento.

Quindi abbiamo scoperto che i fiori non si trovano soltanto sulle parti vegetali esposte all’aria e al sole ma esistono strategie straordinariamente adattative a seconda dell’ambiente in cui la pianta si è evoluta.

Vediamo alcuni casi di strategie evolutive adottate dai vegetali.

Si pensa comunemente che le piante abbiano bisogno del terreno per germogliare e svilupparsi ma basta guardarsi intorno per scoprire situazioni in cui il terreno non esiste come substrato di crescita.

Questa è una Tradescantia, la comunissima “Erba miseria”, nata e cresciuta spontaneamente in un tombino di scolo delle acque reflue. Si tratta di una pianta erbacea quindi senza un apparato radicale importante e quindi più adatta a crescere in poca terra. Certo, qui il terreno è rappresentato dal ferro del tombino e le radici pescano umidità a trenta cm penzolando nel vuoto…

Qui siamo a Torino, in un’area industriale dismessa, si vede un Gelso (Morus alba) crescere in cima al fabbricato da un lato e alcune Buddleie (Buddleia davidii) sul lato opposto: le radici di entrambe le specie e qui si tratta di arbustive ed arboree, non giungono fino al suolo ma si limitano ad ancorare le piante al calcestruzzo in degrado.

Fa senz’altro parte del naturale ciclo della materia il processo di degradazione delle rocce in sabbia e terreno, tutte le pianure originano da catene montuose, e le piante sono soltanto uno dei fattori che agiscono perché questo avvenga, ma non possiamo fare a meno di chiederci come fanno questi esemplari a sopravvivere senza terra!

E’ evidente che si debbano intendere i vegetali come abitanti dei due ambienti, quello atmosferico e quello pedologico, sono veramente il collegamento concreto tra la Terra e il Cielo e la loro capacità di utilizzare i raggi solari (fotosintesi) e l’acqua anche in forma di vapore acqueo le rende gli unici esseri viventi capaci di adattarsi a tutte le potenziali situazioni che gli elementi costitutivi della materia offrono allo sviluppo della vita.

Vediamo adesso qualche esempio di come la vitalità dei vegetali si sia espressa in ambienti diversi. Qui vediamo un esemplare in natura di Araucaria araucana, una conifera giunta fino a noi dal passato più remoto; queste piante, insieme alle Felci erano già sul pianeta al tempo dei grandi rettili, i Dinosauri.

Sono ancora tra noi, con le loro scaglie durissime e i loro tronchi altissimi, caratteristiche sviluppate per convivere coi Dinosauri che ancora conservano…

e qui sopra un angolo di foresta con Felci arboree anch’esse un ricordo di quel periodo quando le piante ancora non utilizzavano i fiori per attirare gli impollinatori.

E qui vediamo i tronchi altissimi dei Kauri, (Agathis australis), un albero parente delle Araucarie endemico della Nuova Zelanda dove esistono le ultime foreste di questa specie. Qui le piante viventi più antiche superano i 1000 anni con diametri del tronco di 4mt. e si sono trovati tracce di legname databili a 45000 anni fa.

Nella foto qui sopra vediamo un ambiente a noi più vicino, dove le piante erbacee e arbustive riescono a colonizzare le parti più elevate che le arboree non possono più svilupparsi.

L’ambiente alpino vede piante delle stesse famiglie occupare questi spazi dai Pirenei al Tibet quasi senza soluzione di continuità e se ci facciamo caso, anche gli Umani indigeni delle Alpi europee hanno sviluppato usi e costumi simili ai loro fratelli nel Caucaso o sull’Hymalaia…si chiama adattamento evoluzionistico ed è continuamente in atto…

E qui vediamo uno degli adattamenti più estremi, quello delle Cactacee, una famiglia di piante che ha eliminato le foglie quasi del tutto trasformandole in spine per difendere i fusti e i rami verdi concepiti per diventare riserve d’acqua e dove viene svolta la fotosintesi, dagli attacchi degli animali che se ne cibano.

I Saguari (Carnegiea gigantea) sono tra i Cactus più grandi e appariscenti tipici di questi paesaggi dei deserti americani.

Questa sequenza di fotografie scattate in Valle Roja, sia nel tratto francese che in quello italiano.

Qui si possono vedere più che in altri luoghi molti adattamenti estremi di vita vegetale. Arbusti come lo Scotano (Cotinus coggygria) detto albero della nebbia per la sua fioritura che vediamo qui sotto

e il suo bellissimo fogliame autunnale

che veste le ripide pareti delle gole di questa Valle formando un contrasto con  le Conifere che vivono in verticalità come Bonsai…

Abbiamo visto adattamenti evolutivi dei vegetali in ambienti dove l’acqua scarseggia o è ridotta al solo vapore acqueo; vedremo adesso alcune delle strategie di sopravvivenza messe in atto da piante per conservare e diffondere l’acqua e l’aria.

Parliamo di piante adattate a vivere in acqua e non di alghe, le prime piante che popolano da sempre i fondali marini, lacustri e fluviali in tutto il mondo, qui ci sarebbe da costruire un corso apposito, parlo delle piante acquatiche e di ripa e di quelle piante che siano cactus o meno che hanno imparato a conservare l’acqua.

Qui sopra vediamo l’Iris pseudoacorus, l’Iris che cresce lungo i fontanili o negli impluvi come in questo giardino della collina morenica della bassa Valle di Susa. Questo Iris ha un rizoma rosso molto resistente adatto a vivere in luoghi palustri e anche sott’acqua ed è una classica pianta di ripa.

Qui sopra vediamo una Nymphaea alba, classica pianta acquatica con le radici poste sul fondo degli stagni e la parte aerea galleggiante adatta ad occupare il lago vero e proprio ma sempre a qualche metro dalle rive.

Se guardate bene sotto il pelo dell’acqua di questa fontana/cisterna restaurata in un giardino a Rivoli (TO) possiamo vedere l’Elodea canadensis che molti scambiano per un alga. In realtà è un classico esempio di pianta che può vivere completamente sommersa occupando un’altra fetta dello stesso ambiente… Queste piante hanno tutte un alto potere ossigenante e, se ben calibrate, possono mantenere limpida l’acqua di un lago anche di grandi dimensioni. Questa capacità viene sfruttata negli impianti di fito depurazione dei fanghi industriali o nei depuratori cittadini.

Eichornia crassipes il Giacinto d’acqua

E ora vediamo ancora il Fior di Loto, Nelumbo nucifera,

coi suoi fiori stupendi è forse la più appariscente tra le piante acquatiche, ma quello che ci interessa sono le sue radici che, come potete vedere

sono percorse per tutta la loro lunghezza da canali aeriferi che immagazzinano e trasportano l’ossigeno a tutta la pianta.

Queste radici, come quelle delle Ninfee, ci svelano come una pianta possa sopravvivere in un ambiente asfittico, cioè senza aria, come un lago.

Nella foto sopra vediamo un esempio estremo di vegetale che occupa l’ambiente aereo.

Si tratta delle Tillandsie, un gruppo di vegetali epifiti che riescono a sopravvivere senza substrati sfruttando esclusivamente l’umidità atmosferica,

Anche le Orchidaceae sono epifite e vivendo in ambienti così ricchi di umidità da diventare poveri di ossigeno, hanno sviluppato radici aeree atte ad assorbirlo

Queste sono piccole succulente del genere Lithops (dal greco Lhitos pietra) che hanno ridotto al minimo il loro corpo per sopravvivere nei deserti pietrosi confondendosi con le pietre e al tempo stesso immagazzinando molta acqua nei piccoli fusti.

Questo è un Echinocactus grusonii, altra cactacea che raccoglie l’acqua atmosferica incanalandola lungo i solchi del fusto verde dove avviene la fotosintesi) per convogliarla nel suolo vicino alle sue radici!

E adesso un albero, il Baobab, Adansonia digitata. Uno dei vegetali più appariscenti del pianeta ha imparato ad accumulare le acque durante la stagione delle piogge nel tronco diventando riserva di sopravvivenza per sé e per centinaia di altri esseri viventi tra cui gli Umani del posto. Ogni Baobab è un microcosmo di biodiversità.

E dopo fiori, fusti e radici acquatiche ed esempi di piante adattatesi ai problemi che i loro ambienti pongono per vivere, spendiamo due parole in più sulle radici.

Le neuroscienze vegetali hanno individuato nelle radici, e nello specifico nella cuffia radicale

la parte “intelligente” della pianta, paragonabile ad un nostro centro nervoso. La radice ha infatti la capacità di trovare acqua o sostanze nutritive poste anche a molta distanza dalla pianta come hanno dimostrato molti studi in merito.

Questo schema ci illustra i due principali sistemi di radici delle piante terrestri, il primo atto ad ancorare la pianta al suolo ma anche a raggiungere gli strati più profondi, il secondo con le stesse funzioni in terreni più morbidi.

In passato si pensava che piante di specie differenti non potessero fondersi tra loro, ma studi approfonditi (è il caso di dirlo!) hanno svelato che non è così. Il fenomeno dell’anastomosi è infatti la dimostrazione di come i vegetali in un giardino, in un bosco o in qualunque ambiente non siano piantati isolati, comunichino tra loro fisicamente trasmettendo acqua, sostanze minerali, etc…

E se dalle radici volgiamo lo sguardo in alto noteremo che le piante si dividono razionalmente anche i raggi del sole

notiamo come gli spazi di ogni individuo siano ben delimitati…

Le piante non hanno imparato soltanto ad utilizzare acqua, aria e spazio fisico SENZA danneggiare il Pianeta e gli altri individui ma anche in situazioni dove la scarsità di elementi minerali è molto forte, hanno imparato a prendere queste sostanze direttamente dal mondo animale come le piante carnivore…

Qui vediamo la Dionaea muscipula, la più famosa, riesce a catturare insetti e a digerirne il corpo,

allo stesso modo della Drosera rotundifolia che è fornita di peli appiccicosi,

o delle Nepenthes che formano serbatoi di acqua letali per gli insetti che vi precipitano…

E ora un ultimo esempio quello della Mimosa pudica, una piccola Leguminosa le cui foglie si chiudono all’istante se appena sfiorate…

il botanico che ha studiato questa pianta aveva notato che le piantine chiudevano le foglie sotto i sobbalzi del carro sulla strada acciottolata e fin qui niente di nuovo…se non che le stesse piante dopo due o tre viaggi non reagivano più ai sobbalzi rimanendo con le foglie aperte e dimostrando la capacità di “ricordare” e distinguere la sollecitazione riconoscendola come non pericolosa…

A questo punto chiudiamo con un accenno al prossimo incontro.

La cartina qui in alto illustra il Parco Regionale La Mandria in tutta la sua estensione. Nel nostro prossimo incontro del 25 Novembre lo visiteremo e potremo verificare gli effetti dell’innalzamento delle temperature su una delle ultime tracce della foresta planiziale che originariamente copriva tutta la Pianura Padana.

Oggi, dopo una breve carrellata di immagini riguardanti il cambio di vegetazione nelle nostre zone innescato dall’innalzamento progressivo delle temperature, entreremo nel vivo della classificazione botanica delle piante. Abbiamo scelto alcune tra le Famiglie più facilmente incontrabili in natura e in città suddividendole tra piante arboree, piante arbustive e piante erbacee.

Il clima e i nuovi arrivi

Le Arboree

Nella foto vediamo un gruppo di Agave americana con due esemplari in fioritura. L’Agave, secondo le specie, fiorisce intorno al cinquantesimo anno di età e poi muore lasciando, oltre ai semi prodotti, una gran quantità di “figli” nati dagli stoloni radicali. Oggi è possibile incontrare queste piante ormai naturalizzate in tutto il Mediterraneo, anche nel pinerolese, in Valle di Susa, in Val d’Aosta, ecc…

L’Abutilon theophrasti, detto Cencio molle, originaria dell’Asia centrale, si è diffusa nelle colture cerealicole tramite l’uso delle mietitrebbiatrici.  I suoi semi sono difficilmente rimuovibili dalle parti meccaniche.

Abbiamo già parlato del Corbezzolo, Arbutus unedo, originario della macchia mediterranea spesso devastata dagli incendi. Proprio per questo la pianta si è evoluta sviluppando una grande resistenza del colletto e delle radici mantendosi vitale anche dopo la distruzione totale della chioma. Questa pianta arbustiva può essere utilissima anche sulle nostre montagne per riparare i danni da incendi boschivi visto che ormai si adatta benissimo ai nostri climi.

Questo è un esempio di come piante non autoctone possano certamente rappresentare una risorsa contro l’erosione dei terreni dopo gli incendi…

Anche il Cappero, Capparis spinosa, ha colonizzato molti ruderi e muretti a secco nelle nostre valli. Citiamo San Raffaele Alto, Avigliana, Settimo Vittone, ecc…

Questo è l’ingresso del Castello di San Giorio in Valle di Susa e la pianta che si intravede è un Mandorlo, Prunus amygdalus sin. Prunus dulcis e rappresenta un ricordo dei climi più caldi riscontrabili non solo in questa valle ma in Nord Italia in generale. Sul versante opposto della Valle, nei siti di Chianocco e Foresto, troviamo due stazioni botaniche con la presenza del Leccio, Quercus ilex, sopravvissute al periodo detto “Piccola glaciazione” che nella seconda metà del 1700 portò all’estinzione pressoché totale delle piante mediterranee presenti in Piemonte, Olivo compreso.

Questo esemplare di Eucalipto, Eucalyptus globulus, è stato fotografato a Villarbasse (TO), altro esempio di pianta insolita

Qui vediamo un Eucalyptus camaldulensis fotografato nei Giardini Hanbury a Ventimiglia fino ad oggi considerato uno dei siti dal clima particolarmente favorevole dove poter osservare lo sviluppo di piante esotiche lontane dai loro areali naturali…

La Gunnera manicata è una pianta originaria del Brasile che si sta naturalizzando in alcuni ambienti europei. Qui la vediamo in Normandia che probabilmente la pianta ha scambiato per l’Amazzonia…

Il Melograno, Punica granatum, cresce ormai in tutti i giardini ed anche in vaso ma qui lo vediamo in vaso carico di frutti su un terrazzo cittadino completamente esposto a Nord…sullo stesso terrazzo vivono e fruttificano un Limone, Citrus limon e un Olivo, Olea europaea…

Queste due fotografie sono state scattate a Novembre sulla collina di Rivoli (TO) e colpiscono per il colore vivo molto insolito in autunno…vediamo Rosmarini, una Callicarpa con le sue bacche viola e lo straordinario sviluppo di una Salvia mycrophilla originaria del Messico e dell’Arizona…

Questa Opuntia ficus-indica in produzione si trova a Levone Canavese (TO) e fruttifica nello stesso momento della pianta madre che si trova a Ventimiglia (IM)…

Qui si vede un’altra specie di Fico d’India, Opuntia humifusa dal portamento strisciante la si può trovare nei boschi sopra Avigliana (TO), insieme a quest’altra specie

dai frutti rosso scuro a portamento eretto Opuntia stricta…ormai il Fico d’India ( che poi è americano) si sta diffondendo senza problemi…

L’ambiente che vediamo in questa foto sembra un sottobosco di foresta tropicale e l’effetto è dato dalla crescita spontanea della Palma della Cina, Trachycarpus fortunei, una delle poche palme rustiche adattibili ai nostri climi…qui siamo a Lanzo Torinese (TO)…

Le nuove piante che arrivano possono rappresentare un problema o un’opportunità, una cosa è certa; sta alla nostra intelligenza coglierne gli aspetti utili …

Il riconoscimento delle piante.

Iniziamo ora la parte più strettamente botanica che sarebbe certamente più scorrevole se fatta all’aperto, ma vista la stagione, non rimane altra scelta che usare le immagini…più piante si vedono, più si legano ad alcuni aneddoti e più qualcosa la mente ricorderà incontrandole per strada…questo è il nostro scopo.

Il primo gruppo di specie sono alberi e procederemo in ordine alfabetico evitando i raggruppamenti usati in botanica, più utili per chi vorrà approfondire magari, ma dando spazio così alla “casualità” come se stessimo passeggiando in un orto botanico o in un parco…

Dopo questo schema dal quale si coglie solo una parte della enorme vastità dell’argomento cerchiamo di visualizzare le immagini di alcuni gruppi di piante più comuni.

Abies alba, volgarmente Abete bianco, ricordiamo che la nomenclatura binomiale in latino è quella universalmente adottata per la corretta classificazione di tutti gli esseri viventi. Abies è il Genere al quale appartiene la Specie alba che è una sola. Oggi anche la sistematica è stata rinnovata e la gran parte dei vecchi nominativi è in aggiornamento dopo l’adozione delle tecniche che si rifanno al DNA. Già in precedenza molte specie erano riportate con sinonimi…tanto per complicare le cose…ma l’importante è conoscere le piante e sapere che, come la natura produce e annienta ogni giorno centinaia di specie, anche la classificazione che ne consegue non potrà essere statica!

Una regola fissa è che i primo nome, il Genere, si scrive maiuscolo e il secondo,la Specie, minuscolo. Dopo la specie possono seguire altri nomi che indicano la cultivar, la varietà, la sottospecie… e servono per aumentare la precisione nell’individuazione della pianta…vedremo cammin facendo…

Per riconoscere una pianta è utile osservare le sue variazioni stagionali, il portamento anche quando modificato da potature o eventi accidentali, la fioritura, ecc,,. E i dettagli come

gli aghi delle piante del Genere Abies, gli Abeti veri e propri; sono corti e disposti sul rametto come si vede nella foto. L’Abete bianco si chiama così per il colore glauco che i suoi aghi hanno sulla pagina inferiore.

In questa scheda riguardante Abies alba, vediamo riportati in dettaglio, le foglie aghiformi, tipiche del grande gruppo delle Conifere e lo Strobilo ( pigna) sempre rivolta verso l’alto. Le Conifere (Pini, Abeti, Cipressi, ecc… per capirci) sono Gimnoperme perché i loro semi non sono racchiusi in un ovario ma si sviluppano tra una scaglia e l’altra delle pigne che fungono da supporto. In alcune Conifere le pigne cadono a terra liberando i semi, in altre specie lo strobilo si squama sull’albero.

Qui vediamo un altro Abete, Abies nordmanniana, Abete di Nordmann, spesso confuso con l’Abete bianco, lo riporto per far capire l’importanza del dettaglio: anche qui gli aghi sono disposti solo su una faccia del rametto ma sono più densi. Ricordiamo che quanto vale per le piante vale anche per la nostra specie…Genere Homo specie sapiens…non vorremmo essere confusi con lontano parente…

anche qui gli strobili si squamano sull’albero, caratteristica del Genere Abies…

gli Abeti, come le Picee e alcune specie di Pini, sono tra i più usati commercialmente come alberi di Natale. Qui vediamo un giovane Abete di Nordmann in vivaio.

E ora una caducifoglia che in questo periodo ha questo aspetto. Acer campestre, molto comune nei nostri boschi, ha l’aspetto sia di un grande arbusto, sia di un piccolo albero. Gli Aceri sono un Genere rappresentato in tutto il mondo con molte specie asiatiche, europee e nordamericane riconoscibili dalle foglie quasi sempre palmate…

Nella scheda vediamo bene la foglia in estate, il portamento di un esemplare ad albero, i fiori molto utili agli impollinatori, la gemma e i semi. I semi degli Aceri si sono evoluti per essere diffusi dal vento e si chiamano Samare…

L’Acer campestre, il più piccolo tra gli Aceri europei, oggi è molto usato come essenza nelle siepi miste utili all’ambiente ma anche come pianta ornamentale in parchi e giardini sia col portamento arbustivo che come albero.

Esistono Aceri dove la foglia palmata diventa composta, suddivisa cioè in foglioline più piccole portate però su un unico rachide. Come in questa scheda che illustra l’Acer negundo, originario del Nordamerica e importato come pianta ornamentale verso la fine del 1600 in Europa…veniva chiamato l’Acero blu, per il colore azzurrognolo dei suoi rami giovani. Era consuetudine dei giardinieri la potatura severa di questo albero proprio per favorire lo sviluppo continuo di rami giovani…

eccolo coi suoi semi che ce lo rendono riconoscibile come Acero più del suo fogliame estivo. Di questa come di ogni specie coltivata, esistono numerosissime varietà a foglia gialla, variegata, scura, etc… che per il momento non andiamo ad indagare troppo.

Ecco un esemplare del gruppo di Aceri giapponesi, Acer palmatum, dal quale sono nate tantissime varietà. Gli Aceri asiatici spesso hanno portamento più ridotto e foglie più piccole rispetto a quelli originari del continente nordamericano.

come Acer palmatum “Dissectum” una varietà molto conosciuta moltiplicata per innesto spesso sullo stesso Acer Palmatum. Le sue foglie sono molto più frastagliate e il suo portamento pendulo lo rende una delle piante ornamentali più utilizzate nei giardini.

Acer platanoides, detto Acero riccio, è uno degli Aceri europei più comuni con la foglia classica dell’Acero. Ancora diffuso allo stato selvatico, la sua foglia come dice il nome, si confonde con quella del Platano…tutt’altra cosa!

La scheda dell’Acero riccio rende tutti i particolari tipici del Genere come anche i semi di questa foto

L’Acer platanoides è spesso confuso con Acer pseudoplatanus e entrambi con il Platano tanto per complicare le cose; la differenza più evidente la troviamo nella foglia che nel primo ha i lobi appuntiti e nel secondo arrotondati.

Acer pseudoplatanus è spesso visibile allo stato selvatico in una forma con la pagina fogliare inferiore brunita quasi rossa,

ma è sempre lui. Spesso queste variazioni spontanee, se fissate nel DNA, danno origine a nuove specie…

in questa foto vediamo il portamento di un Acer saccharinum in veste invernale. Pianta molto diffusa in parchi e giardini originaria del Nordamerica, per il suo portamento molto espanso con lunghi tronchi originati da una sola ceppaia può rappresentare un problema se piantato in spazi ristretti.

Nella scheda vediamo la foglia che nella varietà “Laciniatum” è ancora più frastagliata. Molto bella la fioritura che è la prima tra grandi alberi a comparire…

fogliame tipico di Acer saccharinum e sotto la sua varietà Acer saccharinum “Laciniatum”

Il nome di questa specie ricorda non a caso il saccarosio per la produzione di liquidi zuccherini molto graditi agli insetti…Il vero Acero usato per la produzione dello sciroppo d’Acero è l’Acer saccharum la pianta simbolo del Canada

che qui vediamo in un parco canadese e sotto col particolare del suo fogliame in fase di viraggio…

Dagli Aceri che contano circa 200 specie al mondo, passiamo agli Ippocastani che in latino si chiamano Aesculus e se ne contano circa 13 specie sul pianeta delle quali la specie Aesculus hippocastanum è una tra le più diffuse nei parchi e nelle alberate cittadine.

Dai fiori molto grandi e appariscenti ai frutti, chamati impropriamente Castagne d’India, è originario dell’Europa balcanica

la foglia è grande e composta portata su un lungo e robusto picciolo.

Il fiore, che attira numerosi gli insetti pronubi nella tarda primavera, è bianco nella specie tipica mentre è rosso in Aesculus pavia tipica del Nordamerica.

E dall’ibridazione tra le due è stato creato Aesculus x carnea ( così si scrive la nomenclatura che indica gli ibridi) l’Ippocastano ad albero con fiori rosa carico.

Nel grande parco  della Tenuta “Il Torrione” disegnato da Xavier Kurten che si trova a Pinerolo (TO) si può ammirare questo esemplare di Ippocastano arbustivo che si chiama Aesculus parviflora che fiorisce in agosto.

E adesso parliamo di una specie che a causa della sua rapidità nel riprodursi sia da seme, sia per stolone, crea numerosi problemi. Personalmente credo che le specie botaniche caratterizzate da una grande capacità di colonizzare gli ambienti ci saranno indispensabili per invertire la rotta suicida che la nostra specie continua a percorrere.  Altre piante in passato, pensiamo alla Robinia pseudoacacia, sono state considerate invasive e inquinatrici degli equilibri…ma a distanza di anni così non è stato.

Parliamo dell’Ailanto, Ailanthus altissima sin. Ailanthus glandulosa ,Genere che conta circa 9 specie di piante originarie dell’Asia centrale e dell’Australia. L’Ailanto è stato importato in Italia intorno al 1854, per nutrire il Bombice dell’Ailanto, una specie cinese di Baco da Seta nel tentativo di sostituire il Filugello, colpito da una malattia fungina poi risoltasi in meno di quindici anni grazie  all’intervento di Pasteur. In seguito a questo bel risultato e anche all’inizio del passaggio alla viscosa, la coltivazione dell’Ailanto fu abbandonata per tornare a quella del Gelso ma ormai sia le piante che l’insetto importati dalla Cina, abbandonati al loro destino, avevano già colonizzato l’ambiente.

Spesso lo vediamo così come una giovane pianta cresciuta in terreni marginali, lungo strade, fossati, ferrovie, aree dismesse ed è molto confondibile con il Noce specie con quello americano… ecco un esempio della sua capacità pionieristica:

e le dimensioni del suo tronco

che è in grado di crescere molto rapidamente ma per contro non è una specie longeva.

Presente anche in parchi e giardini per la sua bella fioritura  in quanto fornisce nettare in estate quando, alle nostre latitudini, c’è ben poco da mangiare per gli insetti pronubi.

Questi i suoi semi che ci fanno capire che non può essere confuso con un Noce…

Un’altra pianta che incontriamo spesso anche in pianura perché piantata dagli Umani o per via di endemismi causati dai movimenti glaciali (abbiamo visto il Parco della Mandria), ma soprattutto in montagna nel suo habitat fresco che più le si confà. Parliamo della Betula alba sin. Betula pendula

La Taiga  è forse la miglior rappresentazione del suo ambiente naturale

Il suo tronco bianco nell’età adulta ( ma le giovani piantine non sono così riconoscibili) la rende facilmente visibile. Il sinonimo “pendula” si riferisce al portamento dei rami più flessibili e non tanto a ibridi creati in laboratorio che si vedono in vivaio.

La specie Betula papyrifera presenta un tronco particolare che si sfoglia in lunghe pergamene naturali durante l’accrescimento diametrale…

qui sotto vediamo i particolari botanici di foglie, fiori e semi.

In passato era considerata parente dei Pioppi, coi quali ha in effetti molte affinità (foglia, legno, colore, sviluppo rapido…) può essre confusa con il Pioppo tremolo ( Populus tremula) per il colore del tronco. E’ il rappresentante più tipico della famiglia delle Betulaceae della quale fanno parte anche il Carpino e l’Ontano…ma non abbiamo sufficiente tempo per addentrarci nei meandri della sistematica.

Visti i semi della Betulla come sono disposti sul loro supporto, parliamo ora di un suo cugino, il Carpino bianco o Carpino comune, Carpinus betulus che abbiamo visto associato alla Farnia a formare il Querco-Carpineto tipico delle foreste planiziali originarie della Pianura padana. Il Genere Carpinus conta circa 35 specie al mondo.

Qui ne vediamo un gruppo ad alto fusto fotografati al Torrione e sotto un particolare del tronco che cresce avvolgendosi su se stesso fotografato nelle Vaude Canavesane

Questa pianta la troviamo allo stato spontaneo nei boschi non più tagliati per produrre legna da ardere (ceduazione) tornati progressivamente al portamento naturale che è l’alto fusto

Questi sono i suoi semi adatti ad essere trasportati dal vento.

Il Carpinus betulus “Pyramidalis” è una varietà che incontriamo spesso in parchi, giardini e spartitraffici stradali, scelta discutibile visto il suo sviluppo…

Un albero che consideriamo spesso parente dell’ Ippocastano ( Aesculus hippocastanum) è il Castagno, Castanea sativa,

dalla scheda vediamo come la foglia sia singola e non composta ed è questa una delle differenze più grandi insieme al fiore che possiamo osservare di seguito,

Il Castagno formava, e in certe zone forma ancora, il paesaggio agreste delle montagne italiane. Coi suoi esemplari giganteschi piantati a trenta metri uno dall’altro ha resistito come specie a moltissime avversità

come il Cancro della Corteccia, il Mal dell’Inchiostro, gli attacchi di Cinipide e non ultimi i nuovi adattamenti al cambiamento climatico. Il Castagno è certamente, insieme all’Olivo una delle specie vegetali che ha sostenuto la nostra evoluzione  e la crescita della nostra economia fino a quando gli umani sapevano convivere con la natura creando paesaggi che sfruttavano gli equilibri naturali…

Ora passiamo alla Catalpa bignonioides

un genere che conta circa 11 specie diverse originarie di America e Asia che vediamo anche diffondersi allo stato spontaneo.

I suoi fiori

appariscenti sono molto ornamentali e i suoi semi

la rendono riconoscibile dalla Paulownia che vedremo più avanti con la quale spesso viene confusa.

Torniamo alle Conifere col Genere Cedrus.

Questo Genere  comprende soltanto 4 specie ancora presenti al mondo forse più diffuse in parchi e giardini che nei loro habitat orginari.

Cedrus atlantica,  del quale vediamo la scheda, ha le foglie aghiformi poste a ciuffetti sui rami e questo è un tratto caratteristico che distingue i Cedri dalle altre conifere. Lo incontriamo nella forma verde o in quella glauca in parchi e giardini ma proviene dai Monti dell’Atlante in Nordafrica.

Questo Cedro, più degli altri due presenti alle nostre latitudini, pare soffrire molto degli effetti dell’innalzamento delle temperature in pianura.

Anche il Cedrus deodara o Cedro dell’Himalaya è molto usato dai giardinieri

lo distinguiamo dal precedente soprattutto per il portamento più morbido e fluente.

Il Cedrus libani, originario del Libano è forse il più spettacolare. Ne esistono esemplari importanti in parchi privati ed è il simbolo del Libano dove lo vediamo ancora allo stato spontaneo

L’ultimo, poco diffuso come albero ornamentale, è il Cedrus brevifolia o Cedro di Cipro che qui vediamo nel suo ambiente in estate e in inverno.

Il Celtis australis, detto anche Bagolaro e qui nel Canavese “Taneschia” è una specie molto robusta e per ora immune da fisiopatie gravi. Il Genere Celtis conta circa 80 specie arboree ed arbustive originarie dell’emisfero boreale e del Sudafrica. Presente in viali alberati e naturalizzato in zone montuose come grande arbusto può contribuire a risolvere i problemi di erosione del suolo dopo gli incendi montani se tenuto a ceduo. I suoi frutti sono commestibili e molto dolci, pur se poco polposi e ha la caratteristica di “autopotarsi” nel senso che lascia deperire spontaneamente rami e branche durante lo sviluppo…l’abilità dei giardinieri sta nel prevenire la pianta assecondandola per garantire l’incolumità delle persone.

Il Bagolaro è detto anche “Spaccasassi” e questa foto dimostra la forza delle sue radici

In questa zona, Basso Canavese soprattutto nel Comune di Nole Canavese era usato per produzione di frustini “Foét” in dialetto tanto da essere coltivato in pieno campo come si fa oggi coi Pioppi…dopo l’abbandono della coltura le ceppaie di Bagolaro erano talmente resistenti da farle esplodere con la dinamite…

Le Conifere non sono soltanto “I Pini” ma lo sono anche i Cipressi, le Thuje, i Ginepri, ecc…

qui vediamo un particolare della chioma di Chamaecyparis lawsoniana, il Cipresso di Lawson che come abbiamo imparato NON è un Cipresso poiché non appartiene al Genere Cupressus. Non è facile, nemmeno per gli esperti, distinguere a colpo sicuro una specie o una varietà dall’altra in questo gruppo di piante, anche perché sono state create centinaia di  varietà ornamentali in tutte le forme, i portamenti e i colori: pensiamo solo a quelle utilizzate nei giardini rocciosi come vedremo  a Torino visitando il Parco del Valentino.

I frutti che distinguono il Genere sono questi galbuli legnosi contenenti i semi.

Più grandi i galbuli del Genere Cupressus, questi appartengono al Cupressus sempervirens, il Cipresso, che è uno degli alberi più rappresentativi del nostro Paese.

Spesso associato alla morte perchè è stato a lungo utilizzato nei cimiteri per la caratteristica che le sue radici hanno di non danneggiare le sepolture; lo vediamo  svettare nei panorami lacustri, collinari e mediterranei.

L’ibridazione intergenerica ha prodotto la specie ibrida chiamata Cupressocyparis x leylandii appartenente al Genere ibrido X Cupressocyparis. Questa pianta è ancora tra le più diffuse nella formazione di siepi a crescita rapida e di forte impatto , ma ultimamente si sta rivelando sensibilissima ai cambiamenti climatici in atto, diventando preda di attacchi parassitari che ne causano rapidamente la morte.

Un Genere di piante molto antico sono le Cycas, Cycas revoluta è la specie più nota

qui la vediamo con la sua infiorescenza maschile. Spesso la incontriamo nei giardini dei lungomare italiani confondendola con le Palme. Le Cicadee rappresentano un gruppo distinto ed evolutivamente  il più antico delle Gimnosperme. Sono originarie dell’Asia Orientale, Oceania e Madagascar.

Tra le piante arboree troviamo anche gran parte dei fruttiferi come il Melo, il Pero, il Ciliegio, e anche gli agrumi. Prima abbiamo visto il Genere dei Cedri, Cedrus, da non confondere col Cedro che è un agrume!

Il Cedro qui rappresentato appartiene al Genere Citrus, Citrus medica è la specie, quindi niente a che vedere con le grandi Conifere…

Al  Genere Citrus appartengono il Limone, Citrus limon, l’Arancio, Citrus sinensis, il Mandarino, Citrus reticulata, etc…

ne vediamo i fiori, detti Zagare…i fiori d’Arancio…

Una pianta particolare, tassello evolutivo vivente, è il Poncirus trifoliata, in passato inclusa nel Genere Citrus col nome di Citrus triptera. Questo agrume è sopravvissuto ai vari passaggi climatici adattandosi a vivere in climi rigidi…diventando una pianta a foglie caduche. Perde le foglie che sono piccole e composte in numero di tre, da cui il nome triptera)

mantenendo verdi i rami e il fusto. I suoi frutti sono Esperidi ( come quegli di tutti gli agrumi) molto profumati e hanno la capacità, in condizioni adatte, di auto espellere i semi contenuti al loro interno direttamente nel terreno dando luogo a strisce di germogli molto particolari…

Nella foto un esemplare molto bello fotografato a Ciriè probabile residuo di una vecchia siepe di difesa per via dei suoi rami spinosissimi. Oggi è tra i portainnesti più usati per gli agrumi.

Tra le specie fruttifere che tutti conosciamo, se non altro per gli acquisti alimentari, ricordiamo il Cotogno, Cydonia oblonga. Spesso viene chiamato Pero cotogno o Melo cotogno a seconda della forma dei suoi frutti, ma in realtà è una specie a sé stante. Anche il Cotogno è un tassello evolutivo importante che segna il passaggio tra Generi diversi presentando affinità col Genere Malus, Pyrus, Mespilus, Cotoneaster, etc…

Sempre nel tentativo di chiarire alcuni comuni equivoci botanici, vediamo due piante, sempre fruttiferi, che la nomenclatura volgare chiama Nespoli.

Eriobotrya japonica, detto Nespolo del Giappone, è una bella pianta che solo trenta anni fa non riusciva facilmente a fruttificare alle nostre latitudini ed ora è diffuso in molti giardini. NON è parente del Nespolo che in Piemonte chiamiamo “Puciu” e che si consuma quando il frutto è ammezzito; parliamo del Mespilus germanica

pianta a foglia caduca, completamente diversa!

I semi del Faggio, Fagus sylvatica, le Faggiole  usate per il confezionamento dei confetti nuziali dove mancavano le mandorle, sono una delle più importanti fonti di cibo per la fauna insieme alle castagne. Il Faggio, molto diffuso allo stato selvatico nei suoi habitat montani, lo vediamo sia nella forma tipica, sia in diverse varietà create dai giardinieri del passato nei parchi cittadini. La specie originaria è sempre però Fagus sylvatica …troveremo Fagus sylvatica “Purpurea”, “Tricolor”, “Asplenifolia”, “Pendula”, “Fastigiata”, ecc…con caratteristiche di colore delle foglie, forma delle stesse o portamento molto varie che potrebbero ingannarci nel riconoscimento.

Fagus sylvatica “Asplenifolia”

Fagus sylvatica “Pendula”

Fagus sylvatica “Purpurea”

la scheda ci riassume le caratteristiche botaniche che aiutano a non confonderci…

Una pianta che ha caratteristiche particolari e colonizza facilmente anche i più piccoli anfratti grazie ai suoi semi piccolissimi è senz’altro il Fico, Ficus carica

con le sue grandi foglie palmate che sembrano mani è il rappresentante più conosciuto da noi del grande Genere Ficus che comprende più di 800 specie al mondo presenti in pressoché tutti gli ambienti

molte specie e varietà vengono coltivate come “germogli” o piccole piante in appartamento ma in realtà sono veri e propri alberi che raggiungono grandi dimensioni come il Ficus macrophylla

l’ordine alfabetico ci porta ora ad una pianta comune diffusa sia allo stato spontaneo che in città:

Il Frassino, Fraxinus excelsior, con le sue foglie composte e le sue gemme nere che spiccano sui rami grigio chiaro utilizzato per il legname sia da ardere che da opera.

Può diventare molto anziano, almeno per la limitata scala di noi esseri umani,

nel piccolo paese di Moncenisio si trova questo esemplare vecchio di circa 4 secoli…

i suoi semi ci fanno capire che si diffonde col soffiar del vento.

Esiste un altro Frassino, il Fraxinus ornus, detto Orniello più conosciuto al Sud per la

produzione della Manna…proprio quella biblica!

E ora la pianta che è il tassello evoluzionistico forse più conosciuto, la Ginkgo biloba.

Il Genere Ginkgo conta una sola specie giunta fino a noi grazie alle cure dei monaci cinesi. Si tratta di un relitto fossile vivente risalente al Permiano dove possiamo vedere il passaggio dalle foglie aghiformi tipiche delle Conifere alla foglia lobata tipica delle caducifoglie. Appartiene infatti alle Gimnosperme ed è a foglia caduca. Qui la vediamo col tappeto giallo oro che forma in autunno. I suoi frutti, commestibili previa torrefazione, si trovano sugli esemplari femminili e hanno un caratteristico odoraccio ben conosciuto dai giardinieri.

Tra gli alberi più comunemente confondibili troviamo i Noci.

Il Noce nero, Juglans nigra, detto anche Noce americano viene usato come pianta da alberatura nonostante la caduta dei suoi grossi frutti sferici

Si distingue dal Noce nostrano, Juglans regia, per le foglie appuntite ma sempre composte oltre che per i frutti naturalmente. Nella foto che segue vediamo un giovane esemplare di Juglans regia che porta foglie appuntite in fase di formazione, che poi diventano arrotondate da adulte…

nella scheda del Noce riconosciamo il suo portamento maestoso. Lo vediamo ancora come esemplare isolato piantato ai margini delle proprietà poderali: in Piemonte l’usanza di piantare un Noce perché i propri nipoti potessero abbatterlo per costruire il proprio mobilio la dice lunga su quanto sia importante oggi recuperare questa visione della vita non solo limitata agli 80 anni di media di un singolo essere umano…

Tra le conifere più diffuse sulle montagne piemontesi troviamo il Larice, Larix decidua, e dal suo nome capiamo la sua caratteristica peculiare; quella di perdere le foglie.

Qui ne vediamo un’esemplare in veste autunnale.

I suoi aghi verde chiaro sono posti a ciuffetti sui rami flessibili e le sue pigne permangono sulla pianta per lungo tempo.

Una delle piante più diffuse nei giardini è certamente la Magnolia nella sua specie sempreverde, Magnolia grandiflora di origine americana

dagli enormi fiori bianchi che si trasformano in pesanti “pigne” che sono in realtà un infruttescenza  detta cocceto portante i frutticini rossi o cocchi.

Il Genere Magnolia comprende circa 80 specie di alberi e arbusti sempreverdi e non, come le ben note Magnolia soulangeana, Magnolia liliflora e Magnolia stellata che riempiono la primavera di fiori restando per gran parte dell’anno anonimi cespugli…

Magnolia soulangeana

Magnolia liliflora

Magnolia stellata

L’Olivo, già menzionato appartiene al Genere Olea, Olea europaea sativa è la specie coltivata mentre Olea europaea indica la forma selvatica usata anche come portainnesto, l’olivastro. Il nome rappresenta benissimo l’utilizzo e l’origine della specie.

Questa pianta, che recentemente ha di nuovo portato il Piemonte nel novero delle regioni produttrici di olio, è diffusa in tutto il Mediterraneo con moltissime varietà.

e olive della varietà “Leccino”

questo bel fiore appariscente appartiene alla Paulownia tomentosa che precedentemente abbiamo nominato per la sua somiglianza ( delle foglie) con la Catalpa bignionioides.

Le foglie e i portamenti sono simili ma i frutti della Paulownia, pianta che viene coltivata per la produzione di biomassa e pallet, sono molto diversi…

la lettera P ci porta al riconoscimento di un Genere spesso chiamato volgarmente pino o abete…si tratta dell’Abete rosso, che non appartiene al Genere Abies del quale abbiamo già parlato, ma al Genere Picea. Lo si trova ancora col nome di Picea abies ma molti, ritengono più corretto il nome Picea excelsa. Le Picee si distinguono dagli Abies per la disposizione degli aghi che sono sempre corti ma disposti a raggera su tutta la circonferenza del rametto.

Le pigne sono rivolte verso il basso e non verso l’alto come negli Abeti veri e propri.

Nella scheda vediamo i particolari. I suoi germogli sono commestibili molto apprezzati in Finlandia.

E’ forse la specie più usata per il commercio degli alberi di Natale.

Picea pungens “Koster” è una delle Picee più usate nei giardini per il suo colore argentato.

E dagli Abeti e dalle Picee passiamo ai Pini veri e propri. Pinus excelsa dagli aghi lunghi e glauchi è uno dei più comuni

insieme a Pinus nigra, il Pino nero che qui sotto vediamo con la sua caratteristica pigna e le sue dimensioni

Pinus si distinguono molto bene per la lunghezza degli aghi.

Questa la scheda del Pinus strobus, simile al Pinus excelsa ma con aghi più corti e verde scuro, usato per rimboschire aree pubbliche improduttive (acquedotti).

Le pigne sono grandi rivolte all’ingiù.

Il Pino strobo, originario del Nordamerica, raggiunge notevoli dimensioni specie se cresce in ambienti umidi: nel Parco Regionale La Mandria si può vedere un habitat artificiale ormai stabilizzato intorno al Lago Grande costruito con esemplari importati già di notevoli dimensioni…

Il Pino domestico, Pinus pinea è insieme al Cipresso, una delle principali caratteristiche del panorama italiano.

I suoi semi, i pinoli, sono un prodotto base importante nella cucina italiana (pesto).

Una delle piante più grandi e usate per la formazione di allee e viali cittadini è senza dubbio il Platano nelle due specie spesso poco distinguibili a prima vista, Platanus occidentalis e Platanus orientalis.

Il primo, originario dell’Asia minore e del Sud Europa ha una foglia più simile a quella degli Aceri (ricordate Acer platanoides e Acer pseudoplatanus?) il secondo ha foglia più larga come si vede nella scheda ed è originario del continene nordamericano.

Spesso si vedono forme ibride come Platanus x acerifolia che rendono difficile la corretta classificazione…ma l’importante è conoscere le piante per sapere come trattarle…

il tronco, spesso di notevoli dimensioni si accresce diametralmente staccando lo strato più esterno della corteccia in placche irregolari molto caratteristiche, scoprendo spesso vaste aree di colore biancastro. Nella foto in alto la foglia del Platanus orientalis.

Altro vasto gruppo di piante coltivate a scopo commerciale ma anche ornamentale sono i Pioppi. Populus alba, il Pioppo bianco lo vedremo bene lungo l’asta fluviale del Po a Torino dove cresce nel suo ambiente.

La foglia e il colore della corteccia lo distinguono dal suo parente più prossimo Populus nigra,

che vediamo rappresentato nella sua forma piramidale: Populus nigra “Italica” è infatti molto utilizzato per la formazione di prospettive alberate (Palazzina di caccia di Stupinigi) e in agricoltura come frangivento.

In Alta Valle di Susa esistono, o sarebbe meglio dire, resistono ancora alcuni vecchi esemplari residui delle siepi frangivento che, piantate da un versante all’altro smorzavano i forti venti per cui la Valle è molto conosciuta, proteggendone le coltivazioni.

Nella foto sopra vediamo le foglie del Populus tremula, Pioppo tremolo, una specie fortemente pollonifera che colonizza ampi territori, simile al Pioppo bianco ma più piccolo. L’effetto del vento su queste foglie è particolarmente gradevole; i nativi americani lo chiamavano “Albero parlante”.

Una immagine di “Pando” una colonia di Populus tremuloides, specie affine al Populus tremula, che è considerato uno degli organismi viventi più antichi e più grandi al mondo. Ogni singolo albero è generato da polloni radicali che sono sempre collegati tra loro, costituendo quindi un unico inviduo vecchio di circa 80.000 anni.

Proseguiamo con la Pterocarya fraxinifolia,il Noce del Caucaso. Dal nome capiamo come le sue foglie siano simili a quelle del Frassino ma spesso si confonde con i Noci

per lo stesso motivo.

E’ un albero a crescita rapida, imponente, dall’apparato radicale esteso e dalla fioritura romantica con i suoi lunghi grappoli fioriferi. Lo incontreremo al Parco del Valentino.

Siamo a Ciriè e pochi sanno che il toponimo attuale deriva da Cerretum, così come molti altri nomi di paesi, località o frazioni del Canavese: Ceretta di San Maurizio Canavese, Ceretti di Front Canavese ma anche Ceretto di Carignano, Val Cerrina sulla Collina di Torino, Cerro Tanaro nell’Alessandrino, ecc…

Il Cerro, Quercus cerris, è una delle specie di Querce anticamente più diffuse nella Pianura Padana ed ora divenuta quasi introvabile. Ne esistono ancora alcuni esemplari non molto lontano da qui, verso la Frazione Mollie di San Carlo Canavese.

Nella scheda del Cerro distinguiamo il seme che è un achenio, la ghianda tipica di questo

Genere di alberi che comprende circa 450 specie tra alberi e arbusti al mondo.

Tra le Querce troviamo la grande Farnia, Quercus robur sin. Quercus pedunculata, diffusa in pianura che abbiamo visto alla Mandria con le sue lunghe ghiande è senz’altro

uno degli alberi più maestosi per eccellenza dei boschi planiziali, come si vede da questa foto scattata nella Vauda di Mathi Canavese,

da non confondere con il Rovere, Quercus petraea,

che presenta foglie meno lobate e ghiande più piccole e sessili cioè prive di picciolo.

Queste Querce hanno la cartteristica di mantenere gran parte del fogliame disseccato sui rami fino alla comparsa delle nuove gemme primaverili come fanno anche i Carpini che abbiamo già incontrato. Questa caratteristica varia da esemplare ad esemplare. Esistono anche Querce sempreverdi, che mantengono le foglie tutto l’anno, evolutesi in climi più caldi, come il Leccio, Quercus ilex,

che incontriamo spesso spostandoci al Sud. Abbiamo già nominato questa pianta parlando delle stazioni di Leccio dell’Orrido di Chianocco e di Foresto in Valle di Susa…oggi la vediamo di nuovo diffondersi anche spontaneamente…

Vediamo ancora una Quercia sempreverde molto ricercata e sfruttata per la produzione del sughero, Quercus suber,

bellissimo albero ancora presente allo stato spontaneo in località del Mediterraneo, specialmente in Sardegna.

Le sue ghiande ricordano quelle del Cerro ma le foglie sempreverdi sono più simili a

quelle del Leccio… La raccolta del sughero viene effettuata senza intaccare i tessuti interni del fusto e delle branche.

Un’altra Quercia ormai molto diffusa anche in Europa per la rapidità di crescita e il suo fogliame autunnale è Quercus rubra, la Quercia rossa che in molte parti del bosco planiziale della Mandria ha soppiantato la foresta originaria.

Il suo legname, come spesso accade nelle piante a crescita rapida, non è pregiato, le sue foglie hanno difficoltà a decomporsi per la carenza dei microorganismi legati a questa specie. Si creano quindi appezzamenti di bosco paragonabili a monocolture con perdita di quella bio diversità che è il laboratorio della Vita…

La specie si rivela molto sensibile agli attacchi fungini (Ganoderma) che negli anni successivi alla sua diffusione ha contribuito a ridurne gli esemplari.

La conosciutissima “Gasia” in dialetto piemontese, erroneamente chiamata Acacia si chiama in realtà Robinia pseudoacacia, fu accusata (come oggi accade all’Ailanto) di essere la responsabile del declino dei nostri boschi… E’originaria del Nordamerica e venne importata in Europa dal botanico Jean Robin come pianta ornamentale e, come spesso accade con le novità alla moda, molti privati e Orti botanici la vollero. Famosa la Robinia dell’Orto Botanico di Padova del 1622, la più antica in Italia e quelle della villa di Alessandro Manzoni in Brianza. La specie si è rapidamente diffusa in Europa sia per seme che per via dei polloni radicali facendo temere che l’invasione finisse con lo snaturare i nostri ambienti…ma la memoria dell’uomo è corta…oggi molti la considerano autoctona semplicemente perchè l’hanno vista fin da piccoli..

Le piante autoctone sono ben poche, non lo sono il Melo e il Pero, come vedremo più avanti ma il caso della Robinia ci insegna che dopo 4 secoli e più, molte colline in precedenza coltivate a vigneto e poi abbandonate sono diventate boschi di ottima legna da ardere con la presenza dominante della Robinia ma non solo. Essendo una Leguminosa è anche una preziosa fonte di azoto per le altre specie

vediamo il ciclo nella scheda ed è divenuta una delle pricipali risorse per l’apicoltura per l’altissima e pregiatissima produzione di nettare.

Oggi abbiamo osservato come la Robinia, se lasciata ad alto fusto, invecchiando perda la capacità di produrre polloni compiendo naturalmente il suo ciclo vegetativo. Il taglio ceduo della pianta, utilizzato dai boscaioli per la rapida produzione di legna da ardere ha incentivato il diffondersi della specie…

L’albero più grande per eccellenza, almeno in altezza, è senz’altro la Sequoia sempervirens che insieme alla Sequoia gigantea forma il Genere di Conifere Sequoia, originario del Nordamerica.

Sono Conifere molto antiche che raggiungono dimensioni ragguardevoli. Importata in Europa come pianta ornamentale non raggiunge le stesse dimensioni. In generale gli alberi originari del continente nordamericano hanno grandi dimensioni e sviluppo rapido, contrariamente a quelli endemici dell’Eurasia.

Citiamo anche il Taxodium distichum detto Cipresso delle paludi, una particolare conifera a foglie decidue originaria del Nordamerica, che si è adattata a vivere negli ambienti palustri.

Nella fotografia che segue vediamo il tronco di un esemplare nel Parco “Il Torrione” a Pinerolo (TO)

Questa pianta riesce a colonizzare gli ambienti lacustri, pensate alle Everglades nello Stato della Florida,

per mezzo di queste “ginocchia” legnose che spuntano dall’acqua e dal terreno, Si chiamano pneumatofori e servono a far respirare la pianta attingendo l’aria dall’atmosfera come illustrato nella scheda qui riportata.

In questa zona esiste una foresta fossile nell’alveo della Stura di Lanzo, nei comuni di Nole Canavese e Villanova Canavese, dove si possono vedere i resti di tronchi imponenti appartenenti al Genere Glyptostrobus ora estinto in Europa ma molto affine ai Taxodium.

La lettera T ci porta ad un’altra conifera un tempo molto diffusa in Europa. Il Tasso, Taxus baccata, chiamato Albero della morte per la sua elevata tossicità è una conifera sempreverde che meriterebbe di essere reintrodotta su scala più ampia. I suoi frutti detti arilli sono commestibili tranne il seme all’interno che, se ingoiato senza essere masticato, non causa danni. Presente in forma di siepe o sculture dell’Ars topiaria in molti giardini formali, è una pianta robusta anch’essa già collaudata dalle molte peripezie

evoluzionistiche.

Un gruppo di piante molto diffuso è quello del Genere Thuya. Le specie più conosciute sono Thuya orientalis, Thuya occidentalis, Thuya plicata e Thuya cupressoides tutte usate come esemplari in forma libera o per formare siepi.

Thuya occidentalis

Thuya occidentalis

Thuya orientalis

Thuya orientalis

L’albero forse più diffuso in città è senza dubbio il Tiglio, soprattutto Tilia plathyphyllos, ma anche Tilia cordata e Tilia tomentosa, il Tiglio argentato così chiamato per il colore argenteo della pagina inferiore delle sue foglie.

Tilia cordata, che vediamo nella foto a sinistra è ancora diffuso nei boschi allo stato spontaneo e rinomato per la sua associazione al prezioso tartufo… mentre Tilia platyphyllos dalle foglie più grandi è più usato insieme ai numerosi ibridi come pianta di alberata. I suoi fiori sono un’altra preziosissima fonte di nettare per gli apicoltori.

La Palma della Cina, Trachycarpus fortunei che abbiamo già incontrato è facile da vedere in parchi e giardini ed è l’unica Palma che si sia adattata a vivere nei climi rigidi.

Qui la vediamo nel suo portamento quasi naturale nel Parco del Castello della Manta (CN)

insieme ad un gruppo di Yucca gloriosa.

La ricca fioritura di questa Palma, la sua fruttificazione, le sue foglie specie se lasciate sul fusto e il suo feltro sono tutti elementi utili alla microfauna.

Con questa specie chiudiamo questa sessione dedicata alle piante arboree.

Nella prossima lezione all’aperto visiteremo il Parco del Valentino a Torino dove potremo incontrare gran parte delle piante che abbiamo visto insieme.

Le piante arbustive

Nel sopralluogo al Parco del Valentino di Torino abbiamo potuto vedere dal vivo gran parte delle piante arboree esaminate in precedenza.

Anche per le arbustive e le erbacee di questa sessione procederemo seguendo l’ordine alfabetico soffermandoci su quelle piante che spesso sono oggetto di equivoci nel loro riconoscimento o che sono interessanti per comprendere l’ampia gamma di parentela all’interno di una Famiglia o di un Genere.

Cominciamo con Aesculus parviflora, uno degli Ippocastani arbustivi che raramente si vedono dalle nostre parti.

In queste fotografie vediamo l’esemplare che si trova dinanzi alla Villa del Torrione nell’omonimo Parco e il dettaglio dei particolari: la fioritura riconoscibilissima è in agosto.

Ricordiamo l’”arbusto” per eccellenza, Arbutus unedo del quale abbiamo già ampiamente descritto le particolarità…

e proseguiamo con Berberis darwinii, un cespuglio spinoso e sempreverde poco diffuso nei giardini,

dalla ricca fioritura estiva parente del selvatico Berberis vulgaris, detto volgarmente Crespino, un tempo diffusissimo nelle ripe interpoderali.

Forse conoscete il suo parente stretto, coltivato per formare siepi basse per il suo fogliame rosso, Berberis thunbergii var. “Atropurpurea”.

Radici e frutti di questo gruppo di arbusti molto spinosi sono usati in erboristeria e in cucina e per aromatizzare bevande gassate.

Di seguito quello che impropriamente viene chiamato “Albero delle Farfalle” mentre in realtà è un arbusto, Buddleia davidii, presente allo stato spontaneo lungo fiumi e torrenti, ha la caratteristica di attirare numerosi gli insetti, specialmente Lepidotteri. I suoi fiori nelle ore soleggiate emanano un forte odore zuccherino.

Ne vediamo un particolare dell’infiorescenza andata a seme; ci si allena al riconoscimento delle piante osservandole soprattutto quando sono meno riconoscibili…

E’ utile tornare in stagioni diverse negli stessi posti e ricordare la vegetazione in primavera, in estate, ecc… così con spirito di osservazione ci si accorge di quanti individui ci circondano anche quando siamo soli…

La lettera B ci porta ad un altro cespuglio per eccellenza, il Bosso, Buxus sempervirens. Il termine dialettale piemontese “Bussun” per indicare genericamente un cespuglio deriva probabilmente da questa pianta…

Presente allo stato spontaneo in alcune stazioni sulle Alpi Marittime e in poche altre località dell’arco alpino, lo vediamo nella gran parte delle siepi formali nei giardini all’italiana.

Nelle Valli di Lanzo e nel Canavese resistono ancora vecchi esemplari accanto alle abitazioni rurali, piantate a protezione dagli Spiriti maligni…

Oggi il Bosso è in lenta ripresa dopo i gravi danni inflitti dal Lepidottero Cydalima perspectalis, la Piralide del Bosso, combattuta efficemente con la lotta biologica utilizzando l’antagonista Bacillus thuringiensis “Kurstaki”.

Nel grande gruppo delle piante acidofile, così chiamate perché prediligono un substrato di crescita acido

troviamo anche le Camellie, Camellia sinensis nella foto è la pianta del Thè

La bevanda che ben conosciamo viene prodotta dalla lavorazione delle foglie e dei rametti. La pianta del Thè è quindi parente stretta della più conosciuta Camellia japonica dalla ricca fioritura primaverile, della quale esistono centinaia di varietà a fiore semplice e doppio, dai grandi fiori che, spesso, alle nostre latitudini si inzuppano di acqua trasformando la pianta fulcro del giardino in un brutto arbusto dai fiori marciscenti…

Camellia japonica cultivar

Camellia japonica cultivar

Camellia oleifera

Camellia oleifera

Il Genere Camellia con le sue specie più rustiche a fioritura invernale, tra le quali annoveriamo sia la pianta del Thè che Camellia oleifera (usata per la produzione di olio per fritture) e Camellia sasanqua, può essere senz’altro considerato un valido bacino al quale attingere quando vogliamo introdurre piante utili all’ambiente nei nostri giardini.

I loro fiori attirano i pronubi e la loro rusticità ci permette di coltivarle senza problemi…inoltre sono piante eleganti…cosa vogliamo di più?

Camellia sasanqua

Camellia sasanqua a novembre

Tra le arbustive a fioritura primaverile troviamo il Chaenomeles japonica, chiamato impropriamente “Fior di Pesco” dalla ricca fioritura rossa, rosa o anche bianca secondo le specie o varietà.

Chaenomeles japonica produce queste “mele” molto decorative, ricchissime di pectina, usate nel confezionamento di marmellate e liquori. Per questo motivo è chiamato anche Cotogno giapponese e in passato incluso nel genere Cydonia.

Tra gli arbusti abbiamo anche delle Conifere, parenti dei grandi alberi che abbiamo già conosciuto, qui vediamo un particolare del Chamaecyparis obtusa “Nana gracilis” che è una della tante cultivar usate nei giardini rocciosi come piante “nane”. Sono nane sì, ma rispetto ai loro progenitori che sono dei giganti! Ricordiamo il Cipresso di Lawson…

Molto spesso queste varietà “nane” utilizzate ad esempio nei cimiteri, si rivelano per quello che sono e devono essere abbattute…un altro esempio dell’utilità del riconoscere le piante…

Nella foto sopra vediamo il Corniolo, Cornus mas, molto diffuso un tempo come arbusto di sottobosco ed ora in lenta ripresa grazie al suo utilizzo nella formazione di corridoi ecologici. Il Corniolo produce frutti ottimi se consumati previa lavorazione, la sua fioritura precoce lo rende riconoscible in inverno anche da lontano…

Questi i fiori di un altro Corniolo autoctono, detto Sanguinello per il colore rosso vivo dei suoi rami in inverno.

Il nome corretto è Cornus sanguinea e lo troviamo ancora assai diffuso in natura. Molti Cornioli sono usati nei giardini come piante ornamentali come il Cornus florida dalle brattee molto eleganti spesso confuso con i fiori delle Magnolie a foglia caduca, o Cornus alba “Sibirica” dai rami rossi e dal fogliame variegato.

Cornus florida

Cornus florida

Cornus alba “Sibirica”

Cornus alba “Sibirica”

Nella lettera C troviamo anche il Nocciolo, del quale abbiamo già parlato, ma che vediamo qui in una fotografia con evidenti i due fiori, l’amento maschile e il fiore piccolo femminile. Il suo nome corretto è Corylus avellana.

Sul Nocciolo segnaliamo la sua importanza come pianta arbustiva per eccellenza diffusa allo stato spontaneo (ricordiamo alcune parti della Mandria) ma che sta occupando sempre più rapidamente molte aree coltivate in passato a vigneto o abbandonate. La grande richiesta di Nocciole per alimentare l’industria dolciaria spinge molti agricoltori ad estendere le superfici dei corileti.

In passato abbiamo già assistito a questi eventi guidati dall’economia che si sono poi rivelati non durevoli nel tempo. Abbiamo già parlato del danno biologico causato dalla monocoltura intensarbuiva, nel caso dei corileti a questo si aggiunge un elevato danno chimico prodotto dai fitorfarmaci utilizzati per contrastare gli attacchi delle Cimici che danneggiano il prodotto, come sta avvenendo in molte parti del Centro Italia…

Un’altra essenza arbustiva utilizzata per la formazione di siepi miste ecologiche è lo Scotano, Cotinus coggygria detto anche “Albero della nebbia” per la sua fioritura che vediamo in questa fotografia

Lo possiamo incontrare allo stato spontaneo nella Valle Roja dove spicca col suo fogliame autunnale tra le rocce e i Pini mughi, oppure lungo l’autostrada che porta a Pinerolo (TO) come uno dei componenti delle barriere verdi antirumore insieme ad altre essenze.

Tra gli arbusti il gruppo dei Biancospini assume un ruolo importante sia come piante spontanee utili all’ambiente che come arbusti o piccoli alberi ornamentali e da frutto.

Crataegus azarolus, l’Azzeruolo, lo conosciamo già ma merita di essere ricordato spesso per sponsorizzarne la diffusione: i fiori e i frutti sono utilissimi per noi e per altri animali che se ne cibano…

Nella foto sopra vediamo Crataegus laevigata, dai fiori rosa, utilizzato nei giardini, e Crataegus monogyna, il Biancospino classico, che possiamo trovare ancora allo stato spontaneo come in questa fotografia scattata sopra Avigliana (TO)

Spesso lo si incontra anche col portamento “ad albero” e la sua fioritura è davvero tra le più ricche della primavera.

Il Genere Crataegus, come i generi Chaenomeles, Cydonia, Mespilus rappresenta un tassello evolutivo all’interno della Famiglia delle Rosacee, vista l’ampia possibilità di incroci interspecifici ed intergenerici…spesso li troviamo come portainnesti per il Pero e alcune varietà di Melo…

Tra le arbustive il vasto gruppo delle “Ginestre” comprende molti generi e specie tra i quali Cytisus scoparius, usata per la produzione di scope artigianali e Genista tictoria

Cytisus scoparius

Spartium junceum

Genista tinctoria

usata per tingere i tessuti e ancora il Genere Spartium. Spartium junceum è la ginestra classica che troviamo nei paesaggi mediterranei. Sono piante leguminose e quindi molto importanti per la produzione di Azoto.

Nei giardini gli arbusti in generale, specialmente quelli a foglia caduca, sono suddivisi in arbusti a fioritura primaverile e arbusti a fioritura estiva. Tale differenziazione è da tenere ben presente quando si tratta di intervenire con le potature (peraltro non sempre necessarie). Una Deutzia, un Phyladelphus, una Weigelia che fioriscono in estate possono essere rinnovati o ridotti di volume nel periodo invernale. Ma cespugli come Forsythia, Prunus pissardii o Chaenomeles, se tagliati in inverno non potranno più fiorire in primavera!

Quindi si può intervenire non appena la fioritura lascia il posto alle foglie come nel caso della Forsythia ad esempio, oppure dopo la fruttificazione per i Prunus, sfruttando quel lasso di tempo in cui la pianta rallenta la sua attività nel periodo estivo.

Deutzia scabra tipico arbusto estivo

Forsythia x intermedia tipico arbusto primaverile

Distinguiamo le arbustive dalle erbacee per la lignificazione dei fusti e spesso tendiamo a considerare erbe le Eriche e i Mirtilli…sono perché sono bassi! Ricordiamo che come tra le arbustive esistono i “nani” anche tra le erbe esistono i “giganti” vedi i Bambù.

Erica carnea con la sua ricca fioritura primaverile

Le arbustive comprendono anche specie rampicanti come la comunissima Edera. Hedera helix, nella foto sopra con i suoi rami fioriferi che abbiamo già incontrato nel corso delle nostre uscite all’aperto.

Gli arbusti in giardino comprendono anche il grande gruppo delle Hydrangee, comunemente conosciute come Ortensie.

Qui vediamo Hydrangea quercifolia con la sua fioritura estiva, una delle Ortensie botaniche tornate di moda negli ultimi anni.

Queste specie botaniche non abbisognano di potature frequenti come le loro parenti Hydrangea macrophylla selezionate dai giardinieri del passato per soddisfare il mercato che richiedeva fiori grandi…come si faceva (e in parte ancora si fa) coi Crisantemi…

Si può ammirare una vasta collezione di Hydrangee botaniche e di vecchie varietà presso il già citato Parco del Torrione a Pinerolo (TO).

Un altro esempio di arbustiva piccola, usata spesso come tappezzante è Hypericum calycinum

uno dei tanti Iperici che troviamo nei giardini urbani nelle forme tappezzanti e anche arbustive vere e proprie

Il Genere Hypericum comprende anche Hypericum perforatum una erbacea molto utilizzata in erboristeria per le sue proprietà cicatrizzanti e rigenerative della cute dopo le ustioni.

Proseguendo in ordine alfabetico incontriamo l’Agrifoglio, Ilex aquifolium, spesso chiamato erroneamente Pungitopo. In realtà il vero Pungitopo è il Ruscus aculeatus, che può far fede al suo nome volgare essendo più basso…a livello di topo.

Il primo era un tempo molto diffuso come arbusto di sottobosco o piccolo albero associato alle querce. In molte zone, a causa della credenza religiosa che lo riteneva una delle piante usate dalle streghe per i loro sabba, fu espiantato fino ad arrivare alla sua scomparsa.

Lo troviamo ancora allo stato spontaneo, ma più facilmente nelle sue varietà a fogliame variegato nei giardini.

E’ una pianta dioica e quindi alcuni esemplari producono le classiche bacche rosse natalizie ed altri no. In questa specie si può vedere il dimorfismo fogliare, fenomeno diffuso in molte piante (Edera come abbiamo già visto) che dà luogo a foglie con forma diversa sullo stesso individuo.

Il Pungitopo, quello vero, che vediamo nella foto che segue,

si trova ancora allo stato spontaneo in parti isolate dei boschi pedemontani dell’alto Canavese e intorno ai laghi morenici di Ivrea. Questo arbusto ha la particolarità di produrre i fiori direttamente sulle foglie che in realtà sono dei cladodi, trasformazione del fusto appiattito in “foglie” pungenti. Anche il Ruscus è una specie dioica.

Con questo esempio dovremmo aver chiarito uno dei tanti equivoci che si creano utilizzando la nomenclatura volgare riguardo alle piante…

La lettera J ci porta nel genere Juniperus, i Ginepri. Juniperus communis è la specie spontanea più diffusa sulle nostre montagne, che abbiamo visto come relitto glaciale nel Parco La Mandria. Lo si trova allo stato arbustivo, spesso schiacciato dalle nevicate, ma anche come piccolo albero.

Le bacche del Ginepro comune sono utilizzate in gastronomia e erboristeria e molte specie e varietà sono utilizzate nel giardinaggio come tappezzanti, nei giardini rocciosi (vedi Parco del Valentino) e anche nell’ars topiaria.

Juniperus pfitzeriana situato in un posto troppo stretto per il suo sviluppo…

Spesso sentiamo chiamare “Alloro” il Lauroceraso e “Lauro” l’Alloro: vediamo di fare chiarezza.

L’Alloro dei Cesari è il Laurus nobilis come ben indica il nome della specie ed è lo stesso usato in cucina per aromatizzare gli arrosti. E’ un arbusto di grandi dimensioni, sempreverde, usato anche ma non frequentemente per la formazione di siepi.

Laurus nobilis

Laurus nobilis isolato

Il lauro da siepe, presenza ormai inflazionata in tanti giardini, è il Prunus laurocerasus che come indica il suo nome è parente prsossimo dei Pruni, cioè Susini, Ciliegi, Mandorli, ecc…

Ne esistono molte varietà e specie ma tutte hanno la caratteristica di contenere una buona dose di amigdalina, la sostanza che rende amare le Armelline o Mandorle amare usate per la produzione di Amaretti…La stessa sostanza per idrolisi produce acido cianidrico, presente in quantità variabili nelle foglie dei Prunus. Quindi è bene non confonderlo col Laurus nobilis…

Prunus laurocerasus in fioritura e il tipico fogliame delle siepi.

Il Lauroceraso, impariamo a chiamarlo così, se lasciato al suo sviluppo naturale offre una ricchissima e profumata fioritura tardo- primaverile utile agli insetti pronubi ed è una di quelle essenze sempreverdi che tendono rapidamente a diffondersi allo stato spontaneo.

Esiste una varietà chiamata Prunus laurocerasus “Otto Luiken” con sviluppo più contenuto utilizzata per siepi e arbusto da giardino che è forse la più simile al Laurus nobilis e quindi può essere confusa. Per sicurezza prima di usarne le foglie odorate se emanano il tipico profumo del Lauro da cucina…

Prunus laurocerasus “Otto Luiken”

Tra gli arbusti incontriamo le Lavande, Lavandula spica, Lavandula angustifolia, Lavandula latifolia, ecc…

tipica pianta delle coltivazioni Provenzali. Molto conosciuta e apprezzata per le sue proprietà, negli ultimi anni tende a non svilupparsi benissimo alle nostre latitudini. I cambiamenti in corso hanno creato dei nuovi microclimi, probabilmente di transizione, con più umidità che non sono graditi a questa specie. In zone più ventose questo fenomeno è meno evidente, va però considerato in caso di progettazioni ambientali su larga scala.

Un’altra specie sempreverde che si sta diffondendo rapidamente dai giardini allo stato spontaneo è il Ligustrum lucidum

arbusto o piccolo albero dalla ricca fioritura tardo-primaverile è parente stretto dei Ligustri nostrani ma sempreverde e rappresenta una buona opportunità per affrontare i cambamenti climatici in corso: avremo bisogno di piante sempreverdi, resistenti agli inquinanti e a rapida crescita. Inoltre i suoi fiori e le sue bacche arrichiscono il menù di insetti, uccelli e piccoli mammiferi.

I Ligustri nostrani che formavano le classiche “cioende” piemontesi sono meno utilizzati e rimpiazzati dai Laurocerasi sempreverdi ma stanno tornando in auge come componenti di siepi ecologiche miste. Parliamo di Ligustrum ovalifolium e Ligustrum vulgare che troviamo raramente allo stato spontaneo.

Ligustrum ovalifolium

Ligustrum vulgare

Una delle arbustive più comuni è senz’altro il Caprifoglio. Il suo nome corretto è Lonicera caprifolium, una delle “liane” dei nostri boschi.

Qui ne vediamo il particolare dei frutti in una specie da giardino, Lonicera japonica e nella foto seguente Lonicera nitida una specie di Caprifoglio non rampicante usata come tappezzante e per siepi formali. Entrambe le forme sono utilissime alla fauna.

quasi sempreverde e dai fiori molto profumati.

Lonicera japonica in fioritura

Lonicera nitida in siepe

Tra le arbustive a fioritura precoce primaverile ecco le Magnolie a foglia caduca:

Magnolia soulangeana, Magnolia liliflora e Magnolia stellata sono le specie più diffuse che, a parte il grande spettacolo primaverile, passano inosservate per il resto dell’anno.

Diversamente dalla Magnolia grandiflora sempreverde questi arbusti o piccoli alberi perdono le foglie ma diventano attrattivi, per chi sa guardare le piante, già in questa stagione dove le gemme fiorali cominciano a gonfiarsi per prepararsi alla fioritura.

Magnolia soulangeana in fiore e la stessa in estate…

Magnolia liliflora

Magnolia stellata

Un’altra categoria di piante arbustive e piccoli alberi che spiccano sempre di più nelle siepi miste e nei giardini sono i Meli da fiore.

Malus floribunda in molte varietà ha una fioritura spettacolare ed è anche uno degli impollinatori essenziali per garantire la fecondazione delle varietà di Melo da frutto.

Malus floribunda ad alberello

Anche il Pino mugo, Pinus mugo, il più piccolo tra i Pini che troviamo alle nostre latitudini, ha un portamento arbustivo più o meno compatto secondo le sottospecie e varietà. Si trova allo stato spontaneo e anche utilizzato nei giardini rocciosi.

Pinus mugo

Tra il grande Genere Prunus,oltre al già citato Lauroceraso, troviamo arbusti interessanti come il Prugnolo selvatico, Prunus spinosa, ancora presente allo stato spontaneo e spesso introdotto nelle nuove sistemazioni ambientali.

Qui lo vediamo in fioritura e fotografato coi suoi frutti commestibili previa lavorazione allo stato spontaneo in Bassa Valle di Susa.

Prunus spinosa

Prunus spinosa frutti

Questo arbusto spinoso molto usato per siepi che personalmente trovo troppo onerose in termini di costi manutentivi, è Pyracantha yunnanensis. Il genere Pyracantha, in passato era compreso nel genere Crataegus, quello dei Biancospini che abbiamo già visto. Il nome significa letteralmente “Spina di fuoco” e la dice lunga sul suo utilizzo come siepe da difesa e ornamentale per la gran produzione di bacche arancioni, rosse o gialle secondo le varietà.

Molto vigorosa, costringe i giardinieri a tosature frequenti e …dolorose, se la vogliamo contenere in forma obbligata. Molto meglio utilizzarla come sfondo colorato in quinte verdi nei parchi dove ve ne sia la possibilità…

Pyracantha yunnanensis

Come il genere Malus anche il Genere Pyrus ha le sue varietà arbustive da fiore. Qui vediamo un antenato dei Peri coltivati, Pyrus piraster fotografato allo stato spontaneo in Bassa Valle di Susa.

si può definire uno dei progenitori dei Peri. Oggi i Peri da fiore, come Pyrus calleryana, vengono utilizzati come spartitraffico per il loro sviluppo più contenuto di quello dei grandi alberi.

Pyrus calleryana

Nel grande gruppo delle piante acidofile dove abbiamo già incontrato i Generi Camellia, Erica, Hydrangea troviamo anche i Rododendri. Questo genere conta più di 500 specie di alberi e arbusti decidui e sempreverdi, rustici e delicati, comprendente anche le azalee che in passato erano incluse nel genere Azalea.

Queste ultime si differenziano dagli altri Rododendri in questo modo: le azalee a foglie decidue (es: Azalea mollis ora rinominato Rhododendron molle) sono i soli rododendri a fogliame deciduo e non hanno foglie squamose. Inoltre le comuni azalee che erroneamnete consideriamo sempreverdi, in realtà non lo sono perché le foglie che si formano nella stagione cadono tutte ai primi freddi. Si conservano solo le foglie immature degli apici che proteggono il fiore.

I Rododendri veri e propri hanno invece foglie grandi più cuoiose e lucide, in generale…

Sulle nostre Alpi il Rhododendron ferrugineum la fa da padrone in primavera.

Rhododenron sspp

Rhododendron ferrugineum

Rhododendron molle a foglia decidua

E naturalmente non possiamo dimenticare il Genere Rosa. Ne esistono circa 250 specie e altrettante varietà spontanee dalle quali si sono originate innumerevoli cultivar e ibridi. E’ forse il genere di piante più “lavorato” dalla mano dell’uomo. Ne esistono gruppi rampicanti, sempreverdi e non, arbustivi, striscianti e sarmentosi.

In natura citiamo la Rosa canina che vediamo nella foto seguente,

mescolata ad altri arbusti così come cresce spontanea in natura in quello che a noi pare caos, disordine e invece è un serbatoio di vita.

I suoi fiori si notano da lontano così come i suoi frutti…

Tra i rosai rampicanti sempreverdi e senza spine è tornata in auge la Rosa banksiae “Lutea” una specie vigorosissima dalla fioritura gialla o bianca spettacolare.

Tra le specie di rose utili nelle sistemazioni ambientali vi sono Rosa centifolia, Rosa gallica, Rosa moschata e Rosa rugosa dai frutti o meglio falsi frutti grandi e appariscenti.

Rosa banksiae “Lutea”

Rosa moschata

Rosa gallica

Rosa centifolia

Rosa rugosa

Rosa rugosa cinorrodi

Una curiosità: Rosa damascena è usata in cucina per la preparazione della marmellata di petali di rosa.

Rosa damascena

In Piemonte, Rosa centifolia era chiamata Rosa della muffa per via delle numerosissime spinette, poco pungenti, sugli steli e anche coi suoi petali si confezionava la marmellata.

E dalle rose passiamo al Ros…marino, Rosmarinus officinalis, è un arbusto utilissimo per la formazione di siepi ben esposte in giardino ed è anche utilizzabile in sistemazioni ambientali specialmente con la sua sottospecie Rosmarinus officinalis prostratus sin. Rosmarinus lavandulaceus, adattissimo a coprire terreni scoscesi e a consolidare muretti a secco.

Uno dei gruppi di arbusti più attivi in natura per la loro funzione colonizzatrice che innesca il ciclo di ricostruzione ambientale in terreni abbandonati dall’uomo, è il Genere Rubus.

I Rovi, con la loro copertura rapida rendono inaccessibile il terreno all’uomo ma al contempo creano ottimi ripari per una grande quantità di uccelli, insetti e mammiferi. La copertura protegge il suolo dai raggi solari creando l’ambiente favorevole alla germinazione dei semi di arbusti e alberi più grandi che “bucheranno” la cupola spinosa dei rovi e, crescendo cominceranno ad ombreggiarli…

Abbiamo osservato questo fenomeno al Parco della Mandria dove i Rovi insistono sulle zone scoperte e decadono progressivamente man mano che la canopia delle arboree ha conquistato il cielo sopra di loro. Il ciclo di ricostruzione di un bosco inizia spesso in questo modo e, a seconda delle condizioni pedoclimatiche del luogo, può durare decenni.

I rovi, specialmente Rubus fruticosus e Rubus caesius (Il rovo blu che si adatta meglio alle zone ombrose dai germogli commestibili) sono le stesse piante che producono le More, ma anche il Lampone, Rubus idaeus è un rovo seppur meno spinoso. Esistono varietà coltivate di vari colori e senza spine (Rubus fruticosus “Inermis”). Il rovo inoltre è uno degli arbusti più utili agli insetti pronubi per la ricca fioritura.

I nostri parametri spesso ci offuscano la visione completa della vita: cosa è più vivo tra una siepe formale di Lauroceraso continuamente sottoposta a potature e quindi resa sterile perché non può fiorire, e un Rovo spontaneo e disordinato con fiori, frutti e spine?

Il Rovo può essere usato anche in giardino con le sue specie ornamentali, non spinose, adatte a tappezzarne il suolo o a ornarlo in inverno, come Rubus cockburnianus e Rubus calycinoides.

Rubus fruticosus allo stato spontaneo e in fioritura…le More sono ancora verdi…

Rubus idaeus, il Lampone

Rubus caesius, il rovo blu

Rubus cockburnianus in inverno

Rubus calycinoides

La lettera S ci porta ai Salici. Il Genere Salix comprende più di 500 specie arboree e arbustive molto diffuse sia in montagna che in pianura. Tra le specie arbustive citiamo Salix caprea, il Salice delle Capre, che per via delle sue foglie arrotondate spesso non viene riconosciuto come Salice.

Salix caprea

Le sue gemme che vediamo nella foto sopra, sono tra i primi annunci primaverili.

I Salici amano le zone umide, i corsi d’acqua e li abbiamo trovati lungo il torrente Tesso a Lanzo. La specie Salix alba, il Salice bianco, è forse la più diffusa in questi ambienti raggiungendo anche grandi dimensioni.

Salix alba

Salix viminalis

Il Salice si trova spesso come albero capitozzato per la produzione di rami giovani, che nella specie Salix viminalis servono a fabbricare cesti e legacci eccezionali per la prossima potatura nei vigneti…e di manici per attrezzi.

Anche i Salici sono tra le piante consigliabili nelle opere di ripristino ambientale, per la loro facilità di moltiplicazione e crescita rapida.

Del Salice gli antichi di molte culture avevano già imparato ad utilizzare la corteccia per le sue proprietà curative…l’acido acetisalicilico non si chiama così per caso…

Dai Salici alle Salvie, altro genere di arbustive utilissime in giardino e in natura.  La specie tipica, Salvia officinalis è solo una tra le più di 700 specie esistenti tra arbustive ed erbacee. Oggi il riscaldamento del clima rende possibile coltivare all’aperto Salvie che in precedenza erano estremamente delicate.

Salvia officinalis

Sistemazione con Salvia microphylla e Rosmarinus officinalis prostratus a Rivoli (TO)

Le piante erbacee

Più piccole come dimensioni ma sicuramente più numerose in termini di individui sono le piante erbacee.

Se consideriamo anche le erbacee acquatiche e le alghe delle acque dolci e salate parliamo della massa più consistente del mondo vegetale.

Quando si parla di individui vegetali una Quercia o un Faggio sono equiparabili a un Ciclamino o una singola pianta di Grano esattamente come un Leone è equiparabile ad una Formica…

Sono due individui.

Forse questa precisazione ci avvicina un po’ di più alla grandezza e alla complessità del mondo vegetale.

E ora continuiamo il nostro viaggio nel riconoscimento e nella conoscenza delle piante seguendo l’ordine alfabetico e soffermandoci su quei casi dove gli equivoci linguistici hanno creato confusione.

Il Genere Achillea comprende circa 200 specie di piante erbacee perenni, molte delle quali usate in erboristeria e come aromatizzanti di liquori. La più diffusa nei prati di montagna ma anche in quelli polifiti di pianura è Achillea millefolium nelle sue varianti bianca e rosa chiaro. In alta montagna troviamo invece Achillea moschata erba-rotta chiamata erroneamente Ruta per via del suo nome Erba rotta. La ruta vera è invece una suffruticosa appartenente al Genere Ruta, la Ruta graveolens anch’essa usata per gli stessi scopi.

Molte le varietà da giardino con fiori multicolori,

Achillea millefolium

Achillea erba-rotta sub,sp moschata

Achillea millefolium “Little Moonshine”

Ruta graveolens, la vera Ruta spesso confusa con Achillea moschata

Una interessante perenne tappezzante dai fiori blu è Ajuga reptans. Il Genere Ajuga comprende specie sia perenni che annuali. Molto comune nei prati e nei tappeti erbosi dove spesso viene considerata un’intrusa: questa pianta come anche altre spontanee può regalare aiuole fiorite a costo zero se il manutentore evita di tagliarla e la lascia fiorire…

Ajuga reptans

Tra le erbacee che da bambino mi attiravano per la forma delle foglie ed ora molto usata nei giardini moderni, troviamo Alchemilla mollis, diffusa in montagna già a basse quote.

Per via della proprietà idrorepellente delle foglie, l’acqua che si deposita in goccioline tonde veniva considerata talmente pura da essere usata dagli alchimisti per la ricerca della pietra filosofale…da qui il suo nome. Qui la vediamo naturalizzata in un giardino della bassa Valle di Susa.

Alchemilla mollis

La Bocca di Leone, Anthirrinum majus, è una erbacea perenne suffruticosa in quanto la pianta non si dissecca del tutto dopo la produzione dei semi ma la parte più bassa vicino al terreno si lignifica parzialmente. Le suffruticose rappresentano un tassello evolutivo di unione tra erbacee e arbustive vere e proprie. La Bocca di Leone è spesso coltivata come stagionale dai giardinieri nelle aiuole dei giardini pubblici.

E’ il rappresentante più tipico della Famiglia delle Scrophulariacee.

Anthirrinum majus allo stato spontaneo

Dopo il Genere Achillea, vediamo ora le artemisie. Un gruppo di piante erbacee perenni e suffruticose e anche arbustive diffuse in pianura e in montagna sino alle quote più alte. Il Genere Artemisia comprende più di 400 specie diverse delle quali molte si conoscono per gli utilizzi erboristici e come base aromatica di distillati alcolici, ad esempio il Genepì.

Artemisia vulgaris è forse una delle “erbacce” più diffuse in pianura negli incolti, in Piemonte viene detta anche Crisantemo selvatico, è un ottima foraggera per l’alimentazione dei conigli… Artemisia genipì insieme ad Artemisia glacialis è la pianta usata per la preparazione del famoso liquore. Queste due specie sono spesso dette Genepì maschio e Genepì femmina ma in realtà si tratta di specie diverse. Artemisia absinthium è l’Assenzio vero e proprio chiamato con lo stesso nome del liquore che fece stragi tra gli alcolisti del secolo scorso…

Artemisa absinthium

Aertemisia glacialis

Artemisia genipì

Le Artemisie per il loro profumo, la loro rusticità e il colore glauco del fogliame sono coltivate anche in giardini rocciosi e aiuole di fiori perenni.

Artemisia vulgaris allo stato spontaneo

Con Avena sativa parliamo ora di un gruppo basilare di piante erbacee appartenenti tutte alla Famiglia delle Graminacee chiamate comunemente Cereali.

I Cereali sono una delle fonti di zuccheri indispensabili alla nostra specie. Li vedremo qui raggruppati per confrontarne le somiglianze e le differenze. Ricordiamo sempre che per ogni pianta coltivata o “domesticata” dall’uomo vi è ancora in natura il suo progenitore allo stato selvatico. Nel caso dell’Avena la specie Avena fatua è una delle tante erbe spontanee annuali che troviamo lungo le strade di campagna ma anche in parchi e viali cittadini.

Avena sativa è il cereale coltivato, il termine “sativa” indica sempre piante domesticate.

Avena sativa in campo

Altro nome col quale spesso viene chiamata è Biada, alimento classico per gli equini.

Avena fatua

Ecco ora l’Orzo, altro cereale molto conosciuto, usato per la produzione della birra e non solo… Hordeum murinum è la specie selvatica annuale, Hordeum vulgare la specie coltivata.

Hordeum vulgare scheda

Hordeum vulgare in campo

Hordeum murinum

La Segale, Secale cereale, era il cereale più coltivato in montagna per il suo ciclo di sviluppo che si adattava alle estati corte delle altitudini.

Secale cereale in campo

Ed ora i vediamo il frumento o grano che dir si voglia, il suo nome è Triticum aestivum per il grano tenero più usato per la panificazione e Triticum durum la specie utilizzata per la produzione della pasta. Sono due specie distinte la prima si è evoluta nei climi freddi e la seconda è quella tipica del Mediterraneo…la Sicilia era considerata il granaio d’Europa in tempi non lontani.

Questa è la scheda esemplificativa di una pianta di grano estivo che prendiamo ad esempio per conoscere le varie parti delle graminacee. Siano esse piccole erbe da prato, o

alte canne hanno sempre radici fascicolate, un culmo, foglie lanceolate guainanti e una infiorescenza a spiga

Triticum aestivum, grano tenero

Triticum durum, grano duro

Esistono moltissime specie, sottospecie e cultivar di grano, tra le quali il Farro e la Spelta tornate di moda di recente. Quello che comunemente viene chiamato Grano Saraceno in realtà non è un cereale e non appartiene nemmeno alla famiglia delle Graminacee, quindi approfittiamone per chiarire un altro equivoco; il grano saraceno si chiama Fagopyrum esculentum, fa parte delle Polygonacee e si vede chiaramente dai semi e dalla pianta che non può essere parente del grano…

Fagopyrum esculentum, grano saraceno pianta

Fagopyrum esculentum, grano saraceno semi

Una specie di cereale meno usata per l’alimentazione umana in Europa ma più conosciuta e consumata in Africa, Asia e Sudamerica è il Sorgo, Sorghum vulgare. Da noi era conosciuto come Saggina e veniva usato per la produzione di scope, oggi è una foraggera coltivata per alimentare i bovini.

Sorghum vulgare

E’ il quinto cereale al mondo per importanza alimentare. Dopo Mais, Riso, Frumento e Orzo.

Il Piemonte, e in particolare le province di Vercelli e Novara, rendono l’Italia il Paese che produce il 50% del riso europeo tanto che a Vercelli esiste una Borsa del Riso Italiana.

La specie Oryza sativa sfama da sempre generazioni di esseri umani soprattutto in Asia e Europa. La sua coltivazione ha bisogno di molta acqua, oggi sono state selezionate varietà coltivabili anche in assenza di campi allagati, le risaie appunto. Paesaggi asiatici montani oggi tutelati sono un esempio di come la nostra specie sia riuscita in passato a costruire nuovi equilibri rispettando la natura del proprio ambiente.

Risaia nel vercellese

Risaie vietnamite

Oryza sativa scheda

Oryza sativa spighe

L’ultimo della nostra serie, ma non per importanza è il cereale americano per eccellenza, il Granturco o più propriamente Mais.

Zea mays è il nome corretto di una delle piante più modificate dalla specie umana. Il suo progenitore aveva un aspetto molto diverso dall’attuale…

Zea mays con la sua spiga, detta “Pannocchia”

Euchlaena mexicana, il Teosinte

E’ un ottimo esempio di come si è riusciti a moltiplicare la produzione di granella agendo geneticamente su una specie.

Oggi assistiamo al ritorno delle varietà di cereali coltivate in passato e anche all’arrivo di nuove grazie ai fenomeni migratori: il Teff, Eragrostis tef, è una cerealicola coltivata in Eritrea e Etiopia che può essere introdotta anche sulle nostre montagne.

Eragrostis tef

Abbiamo già descritto le proprietà delle piante appartenenti alla famiglia delle Leguminosae sin, Fabaceae. La loro peculiarità nell’arricchire il terreno di Azoto in forma assimilabile anche dalle altre piante vicine, le rende particolarmente importanti in tempi come questi.

Una di esse è l’Arachide detta anche Spagnoletta, Nocciolina americana, ecc… il suo nome vero è Arachis hypogaea.

Di seguito la fotografia che ci svela il perché del suo nome: Hypos – Sotto, Gea – Terra.

Arachis hypogaea parte epigea

Arachis hypogaea parte ipogea

dopo la fioritura infatti, i suoi baccelli vengono portati sottoterra dalla pianta stessa in modo che si “seminino” da soli nel terreno… Le arachidi che noi consumiamo maturano quindi sottoterra, come fossero tuberi.

Riportiamo ancora una volta lo schema del ciclo dell’Azoto e dei Batteri azofissatori visibili sull’apparato radicale di una leguminosa.

Ora incontriamo le grandi erbacee, Arundo donax, la più comune tra le canne del paesaggio italiano. Questa pianta si sta rivelando utilissima per la sua alta efficienza fotosintetica, la sua straordinaria funzione di assorbire acqua dal terreno, la capacità di produrre biomassa in brevi periodi…

Arundo donax

Qui la vediamo vicina ad uno dei rappresentanti delle erbacee più grandi, i “Bambù” con i quali spesso viene confusa. Questo gruppo di piante comprende diversi generi che raggruppano circa 10.000 specie nane, medie e alte.

Vediamone alcuni:

Arundinaria anceps

Fargesia robusta “Campbell”

Phyllostachys nigra

Sasa pigmea

Queste piante creano grandi foreste e sostengono economie e habitat diversi. In Madagascar il Lemure del Bambù, si è evoluto in tre sottospecie che si nutrono rispettivamente della parte bassa, media e alta della stessa pianta senza venire intossicati dall’alto contenuto di cianuro. Anche il Panda gigante, in Asia, ha una dieta quasi esclusivamente a base di Bambù. La nostra specie, soprattutto in Giappone, utilizza ancora ampiamente questa pianta per i ponteggi nella più moderna edilizia…

La fioritura del Bambù avviene a cicli di 60 o anche 130 anni e dopo di essa la pianta deperisce fino a morire. Come avviene per molte piante (Agave americana ad esempio) questa è la naturale conclusione di un ciclo vitale. Tuttavia quando una pianta fiorisce riproduce il suo patrimonio genetico producendo nuovi semi che proseguiranno il ciclo

Bambù particolare del fiore

Per le specie che si sono evolute basandosi sulla sua presenza, la morte o il deperimento di una pianta di Bambù è certamente un disastro… Ricordiamoci che una pianta di Bambù è tutta la colonia! Ogni canna è assimilabile ad un ramo su un “fusto” sotterraneo unico e collegato alla pianta “madre” che può estendersi per chilometri quadrati…

Queste piante sono tra le più veloci nella crescita. Il nuovo “ramo” cioè la nuova canna germoglia dallo stolone radicale e cresce in una sola volta superando di qualche centimetro l’ultima canna nata precedentemente… la crescita in altezza poi si ferma, fino alla canna successiva….

Bambù germogli di tre giorni

Esistono oggi molte varietà con ridotta capacità stolonifera, quindi di più facile contenimento, oltre alla possibilità di sistemare barriere anti-radice.

Phyllostachys nigra in contenimento

Un bel bambuseto si trova nel Parco del Castello di Miradolo a San Secondo di Pinerolo (TO) e, molto interessante, è il labirinto della Masone a Fontanellato (PR) …

Castello di Miradolo… il bambuseto

Una pianta erbacea che ricorda l’infanzia, almeno di chi ha la mia età, è senz’altro il Fiordaliso, Centarea cyanus,

che insieme al Papavero, Papaver rhoeas, colorava i campi di grano…Ora si vede raramente perché questa pianta come tante altre è tra quelle che più hanno sofferto dell’uso smodato dei diserbanti. Queste due erbacee sono piante a ciclo annuale in quanto dalla germinazione del seme fino alla fioritura e produzione dei nuovi semi passa una sola stagione vegetativa.

In base alla durata del ciclo vitale usiamo suddividere le piante erbacee in annuali, biennali, poliennali e perenni. Procedendo in ordine alfabetico sottolineeremo questo aspetto importantissimo per la scelta che il giardiniere si trova a compiere quanto si pianta un giardino.

Tra le Solanaceae troviamo i Peperoncini, piccanti o meno, che sono ormai inclusi nella categoria di piante ornamentali stagionali usati nella formazione di fioriere e aiuole.

Capsicum è il nome di questo genere di erbacee suffruticose annuali ma anche arbustive e perenni del quale usiamo la specie Capsicum annuum in tante cultivar diverse per colore e forme bizzarre.

Capsicum annuum da orto

Capsicum annuum bizzarro

Capsicum annuum ornamentale

ma tutti piccanti e commestibili.

La lettera C conduce alle Orchidee…

Spesso non consideriamo che questa famiglia di piante erbacee, epifite ma anche terrestri, sono presenti a tutte le latitudini e anche durante una semplice passeggiata le possiamo incontrare.

Nelle foto che seguono una Cephalanthera longifolia nei boschi di Givoletto (TO)

Cephalanthera longifolia

E una Neotinea tridentata spontanea in un giardino della collina morenica di Rivoli (TO)

Neotinea tridentata

Neotinea tridentata

Le nostre orchidee non sono appariscenti come le loro parenti tropicali e sono tutte protette dalla legislazione.

Spesso hanno fiori piccoli riuniti in spighe fiorali e bisogna avvicinarsi per vederne i particolari che ci aiutano a distinguerle, tranne che nel caso della Scarpetta di Venere, Cypripedium calceolus che nella flora italiana è la più appariscente.

Come si vede sono molti Generi che appartengono a questa Famiglia…

Cypripedium calceolus

Dalle sofisticate orchidee al comune Convolvolo. La incontriamo spesso allo stato spontaneo e ne esistono anche varietà da giardino. Convolvolus arvensis è una delle specie più comuni, le sue radici sono bianche e lunghissime rendendo questa pianta una perenne difficilmente eliminabile senza l’uso della chimica.

E’ senza dubbio una delle piante spontanee da considerare prima della semina di un giardino o della formazione di aiuole, in quanto la sua presenza poi costringerà il giardiniere ad una manutenzione continua…

Convolvolus arvensis

Il Genere Convolvolus comprende specie erbacee, annuali e perenni, erette o rampicanti, suffruticose e arbustive. Convolvolus cneorum ad esempio è una specie a foglia glauca molto elegante e adatta al giardino e ai terrazzi.

Convolvolus cneorum

I recenti cambiamenti nella nomenclatura delle piante hanno interessato anche questo Genere che molti di voi riconosceranno: il Mughetto, Convallaria majalis è il suo nome che indica l’epoca di fioritura (majalis, maggio) è una erbacea perenne rizomatosa, molto tossica.

E’ rimasta l’unica rappresentante nel suo Genere in quanto quella che i giardinieri chiamavano Convallaria japonica ora è stata ridenominata Ophiopogon japonicum, molto utilizzata per la formazione di tappeti erbosi a bassa manutenzione perché non necessita di tagli. La si incontra ancora in vecchi giardini dei secoli scorsi utilizzata in bordure.

Convallaria majalis

Ophiopogon japonicum ex Convallaria japonica come “spartitraffico” in giardino

La Famiglia delle Graminaceae comprende anche la gran parte delle specie utilizzate nei miscugli per la semina dei tappeti erbosi e dei prati stabili in agricoltura. Molte specie spontanee che consideriamo “terribili infestanti” possono trovare una buona applicazione in tappeti erbosi rustici, a basso fabbisogno idrico (molto importante di questi tempi!),

La classica “gramigna” così chiamata in Piemonte è Cynodon dactylon. Una stolonifera perenne macroterma.

Cynodon dactylon, stoloni

In climi caldi la gramigna è usata per formare tappeti erbosi rustici in quanto non si dissecca la parte epigea.

Distinguiamo in macroterme e microterme le graminacee il cui ciclo vitale è legato agli sbalzi termici che caratterizzano i climi continentali come quello padano. Le macroterme sia annuali che perenni, si sviluppano rapidamente non appena la primavera passa all’estate e compiono il loro ciclo prima che le temperature tendano a scendere in autunno. Le microterme invece, nei nostri climi sono le erbacee perenni che formano i tappeti erbosi, si sviluppano e tendono a riprodursi dall’inizio della primavera fino a giugno e dopo un periodo di “fermata” che corrisponde proprio a quello in cui le macroterme spadroneggiano, per poi riprendere vigore in autunno. Ne consegue che il periodo migliore per la semina di un nuovo tappeto erboso, in climi soggetti all’alternanza di stagione è l’autunno, quando le nuove piante non subiscono la concorrenza delle macroterme e possono così germogliare, radicare e accestire rapidamente coprendo bene il suolo prima dell’inverno. In primavera non ci saranno spazi per ospitare le macroterme…

I tappeti erbosi seminati in primavera, invece, dopo un breve periodo di gloria tendono a riempirsi velocemente di macroterme stagionali che costringeranno il giardiniere a intervenire con arieggiature e trasemine non appena le chiazze delle macroterme ingialliscono…

Vediamo alcune tra le macroterme stagionali e perenni più diffuse:

Setaria glauca in fioritura, macroterma annuale

Echinochloa crus-galli, il Giavone. Particolare della spiga

Nella foto che segue vediamo Sorghum halepense, la Sorghetta, erbacea perenne macroterma dalla crescita rapidissima che fino a qualche anno fa non conoscevamo.

Questa pianta è perenne, quindi molto più difficile da gestire rispetto alle macroterme stagionali che con pratiche agronomiche adatte possono essere controllate senza l’uso di diserbanti di sintesi e sta incidendo moltissimo sui costi di manutenzione ordinaria delle aree urbane. Parente del Sorgo che abbiamo già visto sembra non trovare per il momento una utilità nemmeno come foraggera per l’alto contenuto di acido cianidrico delle foglie danneggiate sia dal freddo che dal caldo troppo intensi, oltre che di nitrati.

E’ senza dubbio una pianta robusta e vitale, moltiplicandosi sia per seme che per stoloni radicali, resiste anche al glifosate ma quella che noi vediamo come difficoltà da combattere potrebbe anche rivelarsi una nuova opportunità…

Sorghum halepense

Sorghum halepense stoloni

Tra le piante colonizzatrici che ci giungono da altri lidi troviamo anche Erigeron canadensis sin. Conyza canadensis, arrivato in Europa dal continente Nordamericano come il suo parente stretto Erigeron annuus che ormai consideriamo naturalizzato.

Erigeron canadensis sin. Conyza canadensis

Erigeron annuus

Spesso li vediamo insieme abitare aiuole incolte: il primo produce fiori piccoli su uno scapo fiorale e l’altro piccole “margheritine” che molti confondono coi Settembrini, i classici Aster da giardino dei quali sono parenti.

A sinistra Erigeron canadensis e a destra, tra gli Iris sfioriti, un Erigeron annuus

Anche tra gli Erigeron troviamo specie ornamentali come Erigeron karvinkianus, che forma cuscinetti gradevoli e bassi adatto ai muretti, a riempire le fughe dei vialetti rustici in pietra, ecc…

Erigeron karvinskianus

Anche i “Cardi” sono spesso usati in giardino a scopo ornamentale. Non parliamo dei Cardi verdure dell’orto ma di specie che troviamo anche allo stato spontaneo ad ogni latitudine. Ne esistono moltissimi: solo il Genere Eryngium conta circa 230 specie

Eryngium amethistinum

Carlina acaulis

Carlina acaulis il cui nome significa senza caule cioè senza gambo è il Cardo segnatempo che troviamo sulle porte delle abitazioni in molti borghi alpini per la sua peculiarità di aprirsi e chiudersi anche da secco in base all’umidità atmosferica.

Sono piante erbacee perenni, annuali e biennali molto rustiche, usate dall’uomo a scopi alimentari come il carciofo, Cynara cardunculus e il Cardo del quale si consumano i gambi delle foglie, Cynara cardunculus altilis. Il termine “cardare” viene dall’uso del fiore secco del Cardo dei lanaioli, Dipsacus fullonum sativus, per cardare la lana.

Anche il Cardellino si chiama così per la sua predilezione per i semi di questa Famiglia di piante…

Dipsacus fullonum sativus

Cardo infiorescenza

Carduelis carduelis, il Cardellino su cardi

Come esempio di erbacea perenne prendiamo la Dalia. Il genere Dahlia raggruppa circa 20 specie dalle quali sono originate innumerevoli varietà.

Il suo ciclo di coltivazione è annuale ma la pianta non muore dopo la fioritura: le radici tuberose restano nel terreno e riprendono un nuovo ciclo la primavera successiva. Nei climi a inverno rigido è consigliabile raccogliere le radici tuberose e conservarle in sabbia fino alla primavera, al riparo dai geli che li possono danneggiare.

Le Dalie erano considerate piante alimentari dai nativi americani che ne mangiavano i tuberi.

Radice tuberizzata di Dahlia sspp

Collezione di Dalie alte

Dahlia “Fascination” a foglia porpora

Dahlia “Holland Festival”

Le Dalie, specie quelle di taglia bassa del gruppo detto “Dalie a Collaretto” che non necessitano di sostegni, sono tra le piante più usate nell’allestimento di aiuole ornamentali per la ricca fioritura estiva. In questo caso sono annoverabili tra le fioriture “stagionali” pur trattandosi di piante perenni.

Dahlia da bordura del gruppo a Collaretto

Esempio di pianta erbacea perenne che tende ad essere considerata un arbustiva è Eupatorium cannabinum, detto anche Canapa acquatica per la sua preferenza dei terreni umidi.

Anche in questo caso la parte epigea, una volta sfiorita, si dissecca per poi ripresentare nuovi germogli dalle radici in primavera. E’ una pianta utilissima agli insetti pronubi in quanto fiorisce da Luglio a Settembre.

Eupatorium cannabinum scheda

Nelle passeggiate in montagna o in boschi di pianura possiamo incontrare, già a partire dai primi caldi, molte piccole bulbose. Dai Bucaneve agli Anemoni, dai vari Agli selvatici alle Orchidee che abbiamo già visto.

La lettera E indica una bulbosa protetta diffusa localmente nei boschi: Erytronium dens-canis, il Dente di Cane

Erytronium dens-canis fotografato in Valle di Lanzo

Vediamo una piccola carrellata delle bulbose da bosco più o meno comuni che possiamo allenarci a cercare e riconoscere in questa primavera che è alle porte:

Anemone nemorosa

Allium ursinum

Muscari comosum o Cipollaccio col Fiocco

Ornithogalum umbellatum o Latte di gallina

Ranunculus ficaria o Favagello

Scilla bifolia

E per finire i due Bucaneve che possiamo trovare fioriti in questa stagione.

Leucojum vernum

Galanthus nivalis

Le Felci, altro grande gruppo di piante particolari molto antiche evolutivamente parlando, diffuse allo stato spontaneo e coltivate come piante ornamentali adatte alle parti ombrose e umide dei giardini.

Nella foto osserviamo lo srotolarsi di una foglia di Felce in primavera: sempre uno spettacolo…

Esistono specie sempreverdi e non, alcune molto piccole altre molto grandi come le specie arboree che abbiamo già incontrato…

Nella scheda vediamo riassunto il ciclo riproduttivo di queste piante senza fiori che si riproducono per mezzo di spore. Nella foto sotto un particolare degli sporangi che troviamo sulla pagina inferiore delle foglie

In primo piano Cyrtonium falcatum una delle specie di Felci sempreverdi

Polypodium vulgare, la Felce dolce

il cui protallo è gradito ai bambini per il suo sapore di Liquirizia.

E’ un esempio di come in vegetali molto lontani tra loro evolutivamente parlando, si trovino principi attivi e sostanze uguali: la vera Liquirizia è un arbusto appartenente alla famiglia delle Leguminosae, Glycyrrhiza glabra…tutt’altra cosa.

Vediamo una serie di Felci che possiamo provare a riconoscere con l’arrivo della bella stagione per le specie che lasciano seccare la parte epigea in inverno oppure anche prima per quelle che permangono anche col freddo:

Asplenium trichomanes cresce su muri e rocce, come Asplenium ruta-muraria e sono sempre visibili.

Usata in erboristeria è Ceterach officinarum in passato inclusa nel Genere Asplenium,

Ceterach officinarum

Adiantum capillus-veneris

si tratta di piccole Felci, come i Capelvenere che possiamo trovare in muri umidi al riparo di altre piante anche tutto l’anno.

Tra le grandi specie erbacee, quelle che andando per funghi ci arrivano al viso, Pteridium aquilinum, la Felce aquilina è una delle più comuni ed è un altro relitto glaciale che troviamo sia alla Mandria che nelle Vaude Canavesane.

Pteridium aquilinum

Osmunda regalis

Più rara e protetta è Osmunda regalis; questa specie è quasi scomparsa a seguito delle bonifiche dei terreni acquitrinosi sui quali si sviluppava.

Quelle che comunemente e impropriamente chiamiamo Felce Femmina e Felce Maschio in realtà sono due specie distinte: anzi due generi distinti.

Athyrium filix-foemina e Dryopteris filix-mas. Sono piante simili fra loro a prima vista ma con fogliame più morbido la prima e più rigido la seconda.

Athyrium filix-foemina

Dryopteris filix-mas

Molte sono le varietà ornamentali ne vediamo una che personalmente trovo molto interessante.

Athyrium niponicum “Pictum”

Il fiore delle Leguminose ormai lo conosciamo ma pare utile fissare nella mente l’immagine di Galega officinalis, una erbacea perenne che troviamo allo stato spontaneo e anche in varietà da giardino. Simile al Lupino da fiore ma con foglie completamente diverse…la prima ha foglie composte e nel secondo le foglie si dipartono a stella al termine del picciolo. Nelle foto che seguono li vediamo per raffrontarli.

Lupinus polyphillum in montagna

Galega officinalis

Dalle Felci che abbiamo trattato in modo complessivo nella lettera F, ai Geranium.

Un altro equivoco botanico generato dall’uso della nomenclatura volgare: i gerani che teniamo in estate sul balcone sono spesso appartenenti al genere Pelargonium, Pelargonium zonale la specie più diffusa e Pelargonium peltatum detto “Geranio a foglia di Edera”.

I gerani veri e propri appartengono al Genere Geranium che comprende più di 500 specie diverse di erbacee perenni.

Ne troviamo alcune in natura e molte usate nei giardini o anche coltivate accanto ai Pelargoni tanto per complicare le cose…

Geranium molle, uno dei più diffusi in natura

Geranium sylvaticum

Geranium tuberosum

Pelargonium zonale

Pelargonium peltatum

E ora uno dei fiori per eccellenza, il Girasole che non è quello che in primavera si raccoglie nei prati per gustarlo in insalata, quello lo vedremo dopo.

Il Girasole si chiama Helianthus annuus, il nome ci dice che si tratta di una specie a ciclo annuale ma nello stesso Genere troviamo anche Helianthus tuberosus, specie perenne della quale mangiamo le radici tuberose: i Topinambour.

Helianthus annuus

Helianthus tuberosus

Se ne contano circa 60 specie coltivate a scopo alimentare e ornamentale.

Anche gli Ellebori impropriamente chiamati “Rose di Natale” per via della loro precoce epoca di fioritura sono in realtà piante erbacee perenni. Helleborus niger è una delle specie più commercializzate. Helleborus viridis si trova ancora allo stato spontaneo in poche località sparse di montagna.

Molte le varietà coltivate che si naturalizzano se piantate nel giusto ambiente come vediamo in questo giardino privato situato in Bassa Valle di Susa.

Helleborus niger naturalizzato

Helleborus niger

Helleborus viridis allo stato selvatico

Tutti gli Ellebori sono particolarmente tossici se ingeriti.

Erbacee perenni molto usate nei giardini di una volta ma ora tornate di moda sono gli Emerocallidi detti in Piemonte “Gigli di San Giovanni” per via dell’epoca di fioritura.

Una delle specie più comuni è senz’altro Hemerocallis fulva. Possiamo trovarla anche allo stato selvatico e spesso confusa coi Gigli veri e propri che vedremo più avanti.

Hemerocallis fulva

Hemerocallis radici tuberiformi

Sono piante rustiche che si moltiplicano facilmente tramite la divisione dei cespi formati da fasci di radici tuberiformi. Ne esistono varie specie, circa 40 e moltissime varietà alte e nane.

Collezione di Hemerocallis in giardino privato

Proseguiamo con la H.

Hieracium pilosella è una piccola erbacea perenne adatta a ricoprire il suolo con le sue foglie glauche aderenti al terreno. Come già visto per Ajuga reptans può essere lasciata fiorire in un tappeto erboso dall’aspetto naturale, rendendo l’effetto di una aiuola. Crediamo sia opportuno cominciare a guardare il giardino, specialmente il tappeto erboso non come un “tappeto” ma come un insieme di specie viventi diverse tra loro.

Con la meno diffusa Hieracium aurantiacum, più adatta ai terreni umidi, può essere inserita con grande effetto in un giardino pensato per porre attenzione all’ambiente.

Hieracium aurantiacum

Hieracium aurantiacum

Un’altra pianta erbacea spontanea adatta a coprire il suolo per via della rosetta di foglie grasse e quasi curiose è Hypocheris radicata, spesso confusa con il “Girasole dei prati” o “Dente di Leone” che in realtà si chiama Taraxacum officinale. Qui le vediamo insieme senza fiore per distinguerle.

Ambedue sono commestibili, Hypocheris radicata è stato l’ingrediente base della frittata verde primaverile piemontese insieme ai germogli di Luppolo e alle Ortiche e della minestra di Patacioeui (questo il nome dialettale della pianta) del vecchio Canavese.

Hypocheris radicata in alto e Taraxacum officinale in basso

Abbiamo nominato il Luppolo e anche lui è una erbacea rampicante perenne diffusissima in natura e coltivato per aromatizzare la birra.

I germogli del Luppolo, il cui nome è Humulus lupulus e con esso chiudiamo la lettera H, in dialetto piemontese sono i “Luvèrtin” detti impropriamente Asparagi selvatici.

Humulus lupulus, germogli commestibili

Humulus lupulus infiorescenze

Nella composizione di aiuole fiorite si usano molte erbacee annuali. Tra queste le Impatiens con le loro specie e varietà ornamentali.

Le Impatiens sono presenti anche in natura come Impatiens balfourii che vediamo qui fotografata insieme a un gruppo di Dryopteris filix-mas in un giardino storico.

Impatiens balfourii

Le specie di Impatiens ornamentali più note sono le “Lisette” o “Bevilacqua” come le chiamava mia nonna ma il loro nome è Impatiens walleriana insieme alle Impatiens hawkerii dette “Nuova Guinea”. Piante adatte alle zone ombreggiate tranne la selezione studiata apposta per le zone assolate che i vivaisti chiamano “Sunpatiens” ibridi delle specie Impatiens hawkerii.

Tra le vecchie specie ricordiamo i “Begliuomini”, Impatiens balsamina, i cui ovari ingrossati contenenti i semi scoppiano al minimo tatto. Erano uno dei giochi dei bambini cresciuti in mezzo alle aiuole di case di campagna… Impatiens noli-me-tangere è la specie selvatica il cui nome ricorda questa caratteristica.

Impatiens hawkerii o Nuova Guinea

Impatiens walleriana

Impatiens noli-me-tangere e le sue capsule scoppiettanti

Impatiens balsamina o Begliuomini

Anche le Iris sono erbacee perenni che troviamo spesso nei giardini. Iris germanica con Iris pseudoacorus, l’Iris acquatico, si trovano ancora allo stato spontaneo: il primo in montagna e il secondo nei terreni acquitrinosi. Il genere Iris, che comprende circa 300 specie, è suddiviso dai botanici in due grandi gruppi: Iris bulbose e Iris rizomatose.

Con questa pianta vediamo bene il rizoma come tipologia di radice.

Iris rizomi

Iris germanica allo stato selvatico

Iris pseudoacorus, il suo rizoma è rosso internamente

Esiste una specie, Iris foetidissima, che come suggerisce il nome non è certamente profumata, coltivata nei giardini sette e ottocenteschi soprattutto per la sua vistosa produzione di frutti arancioni invernali molto decorativi.

Qui ne vediamo anche il piccolo fiore che nessuno nota…

Iris foetidissima in fioritura

Iris foetidissima frutti

E ora la più classica tra le specie appartenenti alla Famiglia delle Labiatae, Lamium purpuraeum, una erbacea annuale che attira moltissimo le Api e soprattutto i Bombi. E’ una delle prime erbacee che in primavera ricoprono il terreno degli orti vangati e pronti per la semina.

Il genere Lamium comprende piante erbacee annuali e perenni.

Lamium purpuraeum

Una delle erbacee più comuni è senz’altro la Margherita. Le Margherite, parenti dei Crisantemi, si chiamano Leucanthemum vulgare e anch’esse si prestano a formare gruppi fioriti nei tappeti erbosi naturali. Quelle che spesso vengono chiamate margherite o margheritine sono in realtà le Bellis perennis, altra pianta perenne come dice il nome ma molto più bassa.

Le vediamo vicine per il raffronto: di entrambe le specie esistono anche varietà ornamentali a fiori doppi o grandi e di vari colori.

Leucanthemum vulgare

Bellis perennis

Per spiegare bene quali sono le parti che compongono un fiore spesso usiamo i Gigli.

Il genere Lilium è quello dei Gigli veri e propri e comprende circa 80 specie di piante bulbose e perenni.

Sulle nostre montagne ne troviamo alcune specie, tutte protette, tra le quali Lilium martagon.

Lilium martagon

Lilium “Stargazer”

Lilium candidum

Lilium bulbo

I Lilium ci fanno conoscere un altro tipo di “radice” il Bulbo. In realtà il bulbo NON è una radice ma una trasformazione di fusto sotterraneo: le radici vere sono quelle che si dipartono da esso… I bulbi più famosi, anche se meno nobili sono la cipolla, l’aglio, ecc…

A volte in uno stesso Genere di piante erbacee troviamo perenni, annuali e spesso suffruticose che tendono cioè a lignificare le parti basali e a lasciar seccare il resto della chioma. Come nel caso della Linaria vulgaris, che troviamo nei prati montani (in Val d’Ayas sopra Antagnod se ne possono ammirare molti esemplari) ma anche in pianura lungo fossati e strade poderali.

Esistono specie di alta quota come Linaria alpina e sono parenti strette delle Bocche di Leone poiché appartengono alla stessa Famiglia, le Scrophulariaceae, riconoscibili dal fiore che possiamo aprire con le dita…

Linaria vulgaris

Linaria alpina

Anthirrinum majus, la Bocca di Leone

Le leguminose erbacee sono importanti come foraggere nelle coltivazioni o nei prati polifiti. Una specie erbacea a fiore giallo, chiamata per questo Ginestrino, è il Lotus corniculatus, niente a che vedere col fior di Loto, Nelumbo nucifera, che vedremo più avanti.

Insieme al Lotus corniculatus trattiamo anche l’erba medica, Medicago sativa, che sta assumendo un ruolo importante nei parchi e nelle aiuole spartitraffico cittadine specie se trascurate a livello manutentivo. In estate ormai è facile osservare in città intere strisce fiorite del blu, malva, violetto di questa pianta quando le graminacee soffrono il gran caldo. Questa “trascuratezza manutentiva” assicura da un lato una riserva importante di nettare agli insetti pronubi e dall’altro una nota di colore per niente sgradevole!

Quello che agli occhi umani pare disordine spesso rappresenta una soluzione…

L’erba medica è il componente principale del pregiato fieno Alfa-Alfa che era l’alimentazione di base per le bovine il cui latte dà il parmigiano reggiano…

Le radici fittonanti di questa pianta, un tempo largamente coltivata come foraggera sull’Appenino Emiliano, garantiva la stabilità dei terreni oltre ad una fonte di reddito per popolazioni locali che facevano seccare all’ombra il fieno tagliato per via del suo alto contenuto idrico che se esposto al sole cocente si sarebbe disidratato.

Oggi le coltivazioni meccanizzate in pianura hanno soppiantato questo vecchio e saggio equilibrio…

Lotus corniculatus

Medicago sativa, erba medica

Un genere di piante erbacee molto note è quello delle Malve. Vi sono specie perenni e annuali; Malva sylvestris è ampiamente utilizzata in erboristeria per le sue proprietà emollienti.

In Piemonte era uso comune preparare una tisana con fiori di Malva, detti “Fiur d’ Arjundeli”…

Allo stato spontaneo troviamo anche Malva neglecta, più piccola con fiori rosa chiaro anch’essa con proprietà medicinali.

Vengono ancora chiamate Malve le piante ora comprese nel genere Althaea come Althaea rosea una vecchia erbacea biennale ancora utilizzata nei gruppi di fiori che contornano gli orti di montagna. Ne esistono molte varietà in colori diversi.

Malva sylvestris, fiori

Malva neglecta

Malva sylvestris, foglie

Althaea rosea “Mars magic”

Le erbacee bulbose a fioritura primaverile forse più diffuse nei giardini privati sono i Narcisi. Il Genere Narcissus comprende sia i “Tromboncini” che i Narcisi più classici. Il Narciso selvatico, Narcissus poeticus, dal profumo delicato si può ancora ammirare in montagna e come relitto glaciale nel Parco della Mandria ma è sempre meno diffuso.

Il Narcissus pseudonarcissus è la specie dalla quale originano i “Tromboncini” o “Giunchiglie”.

La lettera N ci porta al Fior di Loto, Nelumbo nucifera è il suo vero nome. Una delle più belle e ricercate piante acquatiche sulle quali si potrebbe costruire un corso apposito.

Da questa specie abbiamo ricavato le informazioni più utili per tessuti idrorepellenti grazie all’osservazione delle foglie sotto la pioggia, i fiori sono uno spettacolo per la vista e considerati sacri in mezzo mondo, le radici sono rizomi allungati commestibili e le loro cavità trasportatrici di aria sono l’esempio migliore dell’adattamento delle piante alla vita acquatica in ambiente anaerobico.

Nelumbo nucifera fiore e foglie

Rizomi di Nelumbo nucifera

Nel video possiamo verificare l’idrorepellenza delle foglie di Loto.

Un genere di erbacee spesso confuse coi trifogli, leguminose che appartengono al Genere Trifolium, sono le Oxalis. Un vasto gruppo di piante erbacee, annuali e perenni ma anche bulbose e tuberose. Vi sono perfino delle arbustive in questo genere di piante.

Le troviamo in natura e nei giardini utilizzate nelle bordure del primo piano.

Oxalis acetosella detta anche “Pan del Cucco” e le sue parenti come Oxalis articulata sono tra le piante gradite ai bambini cresciuti in campagna per il sapore asprigno del loro lungo picciolo fogliare.

Oxalis corniculata con le sue varianti a foglia rossa è una delle piante spontanee più difficili da controllare in aiuole e vasi, per la sua facilità di diffusione sia da seme che per stolone. A volte può essere utile valutare di lasciarla crescere invece di contrastarla inutilmente, ottenendo gradevoli effetti tappezzanti…

Oxalis triangularis, con le sue foglie rosse è diventata recentemente utilizzata nei giardini moderni.

Ne vediamo una breve carrellata.

Oxalis corniculata

Oxalis acetosella

Oxalis triangularis

Oxalis articulata

Una pianta il cui nome evoca immediatamente quale sia il suo luogo preferito per insediarsi e crescere è Parietaria judaica che insieme a Parietaria officinalis troviamo alla base di muri e sui muri stessi sia in ambiente urbano che in campagna.

Sono piante al cui polline molti sono allergici ma hanno anche proprietà medicinali come lascia intendere il nome “officinalis”. Questa pianta monoica ha tre tipi di fiori sullo stesso individuo: quelli femminili, quelli maschili e quelli ermafroditi.

Parietaria officinalis

Parietaria judaica

Tra le Solanacee che abbiamo già incontrato troviamo un Genere di piante erbacee interessanti per i loro “Lampioncini” colorati e le loro bacche commestibili; Physalis alkekengii è una erbacea perenne, stolonifera, molto decorativa in giardino per la persistenza dei calici rossi che avvolgono la bacca.

Physalis alkekengii in Ottobre

Tra le piante erbacee selvatiche diventate ormai parte del paesaggio troviamo Phytolacca americana. Come dice il nome è una delle tante piante venute da oltre oceano e ormai naturalizzate in parecchi ambienti. La troviamo lungo i corsi d’acqua, in collina, negli incolti, negli spazi urbani, ecc…

La sua radice è enorme e rende la pianta perenne. I suoi frutti assomigliano a grappoli d’uva ma sono molto tossici; altro buon motivo per riconoscere le piante!

Personalmente consigliamo di non tagliare questa pianta con l’uso di decespugliatori in quanto la sola evaporazione delle foglie e dei fusti triturati può causare problemi di intossicazione anche gravi. Meglio estirpare le piante con mezzi manuali (se sono poche) oppure, in caso di popolamenti estesi, aspettare che le piante si dissecchino naturalmente per via del loro ciclo stagionale e tagliare i fusti secchi che non hanno più grande tossicità. Bisogna imparare a guardare con occhi diversi: una colonia di Phytolacca, in determinati contesti, può essere addirittura elegante.

Phytolacca americana, grappolo acerbo e foglie

Phytolacca americana

Come il Frumento è forse la pianta più rappresentativa della sua Famiglia, le Graminaceae, il Pisello, Pisum sativum lo è per le Leguminosae.

La specie Pisum sativum comprende le varietà coltivate a scopo alimentare e qui ne riportiamo un disegno dal quale emergono tutte le caratteristiche di questa famiglia; il baccello che contiene i semi, i fiori. Esistono poi varietà e specie spontanee e da giardino coltivate a scopo ornamentale come il Pisello odoroso, Lathyrus odoratus.

Lathyrus odoratus varietà

Pisum sativum

Pisum sativum, fiori

Pisum arvense, il pisello selvatico

Tra le piante spontanee stagionali macroterme non graminacee che spesso dobbiamo controllare con scerbature manuali, troviamo la Portulaca oleracea. Questa pianta erbacea è commestibile e la sua presenza non era sgradita quando gli esseri umani tenevano in buon conto le piante spontanee utili al loro sostentamento…

La sua fioritura, anche se non appariscente, è un serbatoio di vita per api ed altri insetti.

Ne esistono specie coltivate a scopo ornamentale come fioriture stagionali estive molto rustiche in quanto non necessitano di grandi quantità di acqua: una caratteristica di cui tenere conto di questi tempi.

Portulaca grandiflora in miscuglio

Portulaca oleracea su marciapiede

Un genere di erbacee decisamente vigorose sono i Rumex. Rumex acetosa è una perenne fornita di una grossa radice fittonante difficile da estirpare. Spesso le lavorazioni, specie le fresature, non hanno altro effetto che moltiplicare la pianta poiché da ogni pezzettino si può sviluppare, per talea radicale un nuovo individuo. Il seme della pianta passa indenne attraverso l’apparato digerente dei bovini e spesso la sua diffusione avviene dopo lo spargimento di letame.

Rumex acetosella invece è una componente dei prati polifiti; il gambo dell’infiorescenza in crescita (in piemontese “Brumbu”) si può masticare per godere del piacevole sapore acidulo e con le sue foglie primaverili si preparava il “bagnèt ed Gidula” per accompagnare il bollito alla piemontese.

Del Rumex alpinus, detto anche Rabarbaro alpino, che troviamo vicino alle letamaie delle baite di montagna, si mangiano i gambi delle foglie chiamati in dialetto “Tuvèij”.

Affine ai Rumex abbiamo poi il Rabarbaro vero e proprio Rheum rhaponticum di origine cinese, che si usa per la preparazione del digestivo e dai cui gambi si ottiene un’ottima marmellata.

Rheum raphonticum, il Rabarbaro vero

Rumex alpinus

Rumex acetosella

Rumex acetosa diffusa da lavorazioni errate

Rumex acetosa a seme

Rumex acetosa colonia ancora controllabile

Il genere Sedum comprende circa 600 specie di erbacee succulente, sempreverdi e non, annuali e perenni. Il termine “succulente” indica quelle piante che si sono dotate di parenchimi (tessuti) acquiferi, atte cioè a conservare l’acqua al loro interno. Ne fanno parte anche i cactus.

I Sedum si trovano allo stato spontaneo in montagna, anche ad alte quote, ma anche nei climi mediterranei. Spesso formano cuscini ricadenti di fioriture gialle, bianche, rosa o rosse molto appariscenti in compagnia dei Sempervivum, ecco perchè li tratteremo insieme.

Come abbiamo imparato dalle specie selvatiche si sono originate molte varietà ornamentali dove l’essere umano ha enfatizzato colori, dimensioni, forme, ecc…

Le loro fioriture sono basilari per il buon sostentamento degli insetti pronubi e la loro rusticità (tranne in rari casi) li rende facilmente coltivabili anche dai neofiti del giardinaggio con grandi soddisfazioni.

I Sempervivum con le loro piccole o grandi rosette di foglie carnose, dopo aver espletato il loro ciclo vitale, cioè la fioritura con la relativa produzione di semi, si disseccano e muoiono lasciando però uno stuolo di…eredi nati dagli stoloni.

Sempervivum tectorum in fioritura

Sempervivum arachnoideum, così chiamato per via della sua ragnatela

Sempervivum montanum

Sedum album

Sedum acre in fioritura

Sedum spurium in fioritura

Sedum spectabile, uno dei più alti

Sedum sieboldii col suo fogliame glauco per evocare l’acqua di un tempo…

Sedum palmerii uno dei più diffusi sui balconi cittadini

Il Genere Solanum comprende le note piante alimentari esotiche che ormai sono diventate la base di molte cucine europee. Senza patate cosa rimarrebbe della cucina tedesca e dei paesi slavi? Senza pomodori e peperoncini piccanti che fine farebbe la cucina mediterranea?

Nonostante la loro tossicità iniziale queste piante hanno contribuito a creare cucina e quindi cultura.

Vediamole rapidamente:

Solanum melongena è la melanzana, Solanum lycopersicum ora Lycopersicum esculentum è il pomodoro che così si chiama perchè la specie originaria era gialla, Capsicum annum il peperone, Solanum tuberosum la patata…

Solanum capsicastrum è una vecchia pianta ornamentale detta in Piemonte “Pumin d’amour” tornata di moda recentemente…

Solanum capsicastrum all’ingresso di un giardino privato in Torino

Solanum dulcamara la troviamo allo stato spontaneo nei terreni umidi in molte varietà e sottospecie. Ha un portamento sarmentoso, rampicante e ne sono originate cultivar usate a scopo ornamentale.

Solanum dulcamara, scheda

Un’altra pianta “straniera” che ha modificato il paesaggio agreste è senza dubbio Solidago canadensis, pianta perenne apprezzata dagli apicoltori per la ricca fioritura estiva.

La Solidago nostrana è invece Solidago virgaurea, la Verga d’Oro diffusa localmente in tutta la penisola.

Solidago virgaurea

Solidago canadensis naturalizzata

Solidago canadensis, ricacci

Una delle erbacee più apprezzate dagli insetti impollinatori è senz’altro il Tarassaco, Taraxacum officinale. Il suo nettare consente agli apicoltori di produrre un miele monoflorale molto apprezzato.

Detto anche Dente di Leone, Girasole dei prati, Soffione per via dei suoi semi, è un ottima verdura selvatica disponibile quasi tutto l’anno.

Taraxacum officinale, prato

Taraxacum officinale, fiori

Con la lettera T ricordiamo il vero Trifoglio, Trifolium pratense e la specie Trifolium repens detta Trifoglio ladino adatto alla formazione di tappeti erbosi naturali.

Trifolium pratense

Trifolium repens

La lettera T comprende il Genere Tulipa, al quale non possiamo dedicare almeno un cenno. I Tulipani, importati dalla Turchia verso la metà del Cinquecento, sono coltivati in Europa da più di tre secoli. Nel Seicento nei Paesi Bassi, termine col quale all’epoca si designavano Olanda, Belgio e Lussemburgo nel loro insieme, i tulipani sono stati al centro di una delle prime “bolle speculative” finanziarie.

I bulbi venivano quotati in borsa e venduti a prezzi esorbitanti perché i nobili e i ricchi dell’epoca facevano a gara per averli. Il record fu raggiunto da un solo bulbo della varietà “Semper Augustus” che venne venduto per 6000 Fiorini quando una tonnellata di burro ne costava 500…

Se ne può ammirare una vasta collezione ogni primavera al Castello di Pralormo (TO) in occasione della manifestazione “Messer Tulipano”.

La coltivazione del Tulipano nelle aiuole pubbliche, tranne delle specie piccole come Tulipa turkestanica o Tulipa tarda i cui bulbi possono essere lasciati indisturbati nel terreno, è assai impegnativa. Dopo la fioritura infatti il bulbo si divide in bulbi più piccoli che servono alla moltiplicazione ma per questo motivo perdono o riducono la possibilità di fiorire nuovamente.

Per cui, ogni uno o due anni le aiuole vanno rinnovate scegliendo i bulbi più grossi e ripiantandoli in autunno.

Quando vediamo un aiuola di Tulipani ricordiamoci del gran lavoro fatto per ottenerla…

Tulipa tarda

“Semper Augustus”

Messer Tulipano

Chiudiamo questa sessione cercando di chiarire un altro equivoco: Zantedeschia aethiopica è il vero nome della Calla; questo genere comprende una decina di specie. Il genere Calla invece comprende una sola specie di pianta acquatica la Calla palustris della quale vediamo la differenza.

Le Zantedeschie, originarie del Sud Africa possono essere coltivate anche all’aperto in posizioni soleggiate e in terreni umidi.

Zantedeschia aethiopica

Calla palustris

Concludiamo con le Zucche: il nome corretto è Cucurbita maxima. Sono piante erbacee, originarie del Sudamerica, conosciute per la grande varietà di colori, dimensioni e forme delle loro bacche, chiamate peponidi.

La zucca è coltivata sia a scopo ornamentale che alimentare, come il suo parente prossimo lo Zucchino che consumiamo prima della maturazione e si chiama Cucurbita pepo. Con le Zucche in ogni cultura contadina si fabbricano contenitori per l’acqua che durano anni!

Per chi fosse interessato esistono vivai specializzati nella coltivazione e conservazione di specie e varietà anche vicino a Torino.

Zucca degli Spaghetti

Zucca del Pellegrino

Siamo al termine dell’alfabeto e in questa “corsa” attraverso i nomi delle piante abbiamo cercato di chiarire alcuni equivoci creati dall’uso della nomenclatura commerciale o volgare.

Imparare a chiamare le piante col loro nome non è solo una questione di “correttezza sistematica”, che come abbiamo visto lascia il tempo che trova data la continua evoluzione della vita e la creazione di nuove specie, generi, ecc…, ma è piuttosto una questione di pratica; saper riconoscere un vegetale o almeno saperlo collocare in un gruppo ci indica se può essere commestibile o velenoso, facilmente coltivabile o no, abbinabile ad altre specie, troppo invasivo o eccessivamente lento nella sua diffusione, ecc…

Ma soprattutto ci insegna a dare la giusta dignità di esseri viventi a tutti gli effetti anche alle piante

Se si chiama qualcuno per nome lo si tratta da pari.

Tecniche e metodologie lavorative per un giardinaggio ecologico

A questo punto, dopo aver viaggiato da un gruppo di piante ad un altro, possiamo senz’altro approfondire quali siano i modi migliori di lavorare con i vegetali.

Migliori dal punto di vista dei vegetali e dell’ambiente.

L’esperienza ci insegna che se consideriamo piante e ambiente, il raggiungimento del nostro obiettivo sarà una conseguenza logica. Il contrario ci ha portato al punto in cui siamo oggi; se l’ambiente si degrada a causa del nostro modo di produrre benessere economico, non avremo più ambienti da usare.

La nostra specie in epoche non lontane e in diverse parti della Terra aveva già saputo costruire nuovi equilibri copiando dalla natura. Lavorare il terreno senza stravolgerne il delicato equilibrio dei primi strati, risparmiare e accantonare acqua per l’irrigazione, abbinare le piante, ecc… A questo patrimonio di esperienze al quale possiamo ancora attingere si aggiungono le moderne tecnologie che possono velocemente dare una virata di bordo alla rotta sciagurata verso la quale stiamo procedendo.

Per noi è un problema di tempo. La natura nel suo complesso è ripartita da zero molte volte e per lei il tempo non è un problema.

Alcune cose le abbiamo già affrontate o accennate nelle sessioni precedenti; l’importanza della pacciamatura, l’impiego di piante resistenti alle malattie e che richiedono poca acqua, l’abbinamento delle specie, la scelta delle piante giuste per il posto, ecc…

In questa sessione tratteremo in sintesi:

  • la semina dei prati: accorgimenti e nuove soluzioni.
  • l’uso della pacciamatura
  • i giardini utili agli insetti e non solo.
  • il consolidamento dei terreni scoscesi.
  • il diserbo non chimico.

Molti di questi argomenti si possono incontrare contemporaneamente quando ci si trova ad operare sul campo, ma il risultato dipende soltanto dalla considerazione in cui abbiamo tenuto il parametro della salute delle piante cercando di lavorare per il raggiungimento di obiettivi che noi non potremo certo vedere nella maggior parte dei casi. Abbiamo una grande responsabilità…

La semina dei prati

Abbiamo già visto, parlando delle graminacee macroterme e microterme, quale sia l’epoca migliore (alle nostre latitudini) per procedere alla semina di un prato ex-novo o al suo rifacimento.

Usiamo la parola “prato” perché il termine “tappeto” evoca una copertura del terreno quasi monocolturale, senza fiori, che richiede grandi apporti idrici, trattamenti diserbanti selettivi per eliminare le “erbacce”, concimazioni e tagli frequenti.

Il giardino è certamente un estensione della casa ma le piante non sono i mobili così come il prato non è un tappeto.

Il giardino è una parte che contorna la casa, a volte vi penetra, ma è fatto di esseri viventi che lo abitano proprio come gli umani abitano la casa…

Quando programmiamo una nuova semina su terreno riportato del quale spesso non conosciamo la provenienza, rischiamo di moltiplicare la presenza di quelle piante che non servono al nostro scopo; ricordiamo Rumex, Sorghum halepense e Convolvolus solo per citarne alcune.

Anni addietro i giardinieri esperti che non disponevano della chimica, realizzavano bellissimi prati composti da graminacee quasi in purezza. Come era possibile?

Nessuno di loro si sarebbe mai sognato di seminare in primavera per non incorrere nei problemi che abbiamo già visto e quindi si facevano germogliare i semi delle erbe spontanee presenti nel terreno e gli eventuali ricacci di radici e fittoni, attraverso ripetute lavorazioni. L’azione del sole in estate e del gelo invernale aiutava poi a eliminare buona parte delle indesiderate. In questo modo si preparava il terreno alla nuova semina primaverile.

Spesso a questo si associava la pratica del sovescio. Il sovescio consiste nel seminare leguminose come Trifolium ad esempio per interrarle durante l’attesa. Questo da un lato consente di avere il terreno coperto in breve tempo senza lasciarlo esposto per tutta l’estate ai raggi solari ma anche di sfruttare il ben noto meccanismo concimante delle leguminose.

Il sovescio è una pratica antica oggi largamente usata in agricoltura biologica. Qui vediamo l’incorporazione della leguminosa in un vigneto inerbito, effettuata senza arare in profondità il terreno, in modo da non sconvolgerne il delicato equilibrio dello strato agrario superficiale che è l’unico fertile.

Lo strato agrario e quello umifero si formano in tempi lunghissimi e le lavorazioni profonde del terreno ne causano la perdita. Le tecniche agronomiche ancora usate oggi su vasta scala si basano sull’uso dei concimi chimici per compensare questa perdita.

Le lavorazioni profonde causano anche, specie di questi tempi, la perdita del contenuto idrico che costringe l’agricoltore, ma anche il giardiniere, a costose irrigazioni.

Negli Sati Uniti, Paese in cui la monocoltura intensiva ha dato il “meglio” di sé, si è tornati al Sod seeding, letteralmente semina sul sodo, utilizzando macchine che perforano o smuovono quel tanto che basta il terreno per seminare con minori costi e stessi risultati, ma soprattutto preservando il terreno agrario che è un bene non rinnovabile.

Sod Seeding. Notiamo i residui della coltura precedente e la nascita delle nuove piante

Vediamo bene in questa immagine come sono composti i terreni in quasi tutto il mondo.

La stratigrafia è sinteticamente la stessa ma il concetto che ci interessa è che le lavorazioni profonde la distruggono irrimediabilmente. Ci vogliono milioni di anni per formare questo equilibrio. La convinzione che il “portar sotto” lo strato migliore e seppellirlo sotto la terra vergine permetteva alle radici delle colture di avvantaggiarsene è errata. Questo può capitare solo la prima volta, come coi concimi, ma poi è necessario concimare e irrigare quel terreno vergine che abbiamo riportato inutilmente e faticosamente in aria per continuare a farlo produrre…questo è il primo passo verso la desertificazione e l’insterilimento del terreno agrario…

Abbiamo i mezzi e le tecnologie necessarie per mettere d’accordo le esigenze di un mercato sempre più pressanti e i tempi della natura se solo questi mezzi sono dati in mano ad agricoltori e giardinieri illuminati e consapevoli.

Oggi, non abbiamo più il tempo di aspettare l’epoca migliore e allora è possibile la formazione di un prato anche in primavera o addirittura in estate se disponiamo di un sistema irriguo.

Possiamo acquistare prati pronti precedentemente seminati nell’epoca giusta, in zolle stendibili come moquette…

Nelle immagini che seguono vediamo le fasi di preparazione e il risultato pressoché immediato di un rifacimento eseguito in primavera senza effettuare lavorazioni profonde anche per la presenza degli apparati radicali delle piante già esistenti.

Taglio e asportazione della cotica disseccata

Livellatura manuale della superficie

Fornitura del tappeto a rotoli

Stesura dei rotoli

Distribuzione di materiale umifero dopo la stesura per la “cucitura” delle zolle

L’ammendante aiuterà il ripristino della nuova lettiera

Un altro valido sistema per formare un prato in breve tempo molto usato anche per terreni scoscesi è l’idrosemina.

Su terreno livellato e ripulito da detriti, si utilizza un mix di semi in apposita soluzione gelificata che viene distribuita uniformemente dalla macchina permettendo di azzerare le perdite di semente e garantendo un alto livello di germinazione.

Ecco alcune immagini di un prato formato in tarda primavera:

Distribuzione del gel

Germinazione dopo 4 giorni

Germinazione dopo 6 giorni

Il risultato in autunno

Taglio autunnale…nessuna “malerba” e nessun uso di diserbanti

Nelle immagini abbiamo visto come sia possibile usando la tecnologia ottenere ottimi risultati senza lavorazioni profonde del terreno e riducendo al minimo e addirittura eliminando l’uso di diserbanti, sia in corso d’opera che nella manutenzione successiva.

Nella proprietà dove si è steso il prato a rotoli sono stati piantati anche bulbi di Scilla, Iris bulbose, Narcisi a fiore piccolo e Tulipani nani per cominciare a rompere la monotonia del “tappeto”. Oltre a questo si lasciano crescere quelle piccole erbe spontanee che rendono il prato più naturale, come Bellis e Ajuga.

Esistono miscele di sementi per la formazione di prati fioriti simili alle distese dei prati di montagna, costituite da piante medio alte che quindi non possono essere calpestate ma solo guardate. Questi prati hanno senso all’interno di parchi cittadini e devono essere falciati a maturazione senza comprometterne il futuro, proprio come si fa con la fienagione in montagna.

E’ un nuovo modo di vedere il prato: dopo la falciatura, per almeno un mese non ha certo un aspetto invitante…ma si può imparare il ciclo delle piante osservandone i ricacci e la germinazione delle diverse specie che fioriranno nuovamente in autunno e nelle primavera successiva…

L’uso della pacciamatura

In questa sede non parleremo tanto dei materiali sintetici (teli neri o verdi) usati come pacciamatura nei vivai che, se posizionati correttamente, danno comunque buoni risultati nel tempo ma essendo plastiche contribuiscono ad aumentare il peso di questo materiale non degradabile al quale dovremo necessariamente porre rimedio.

Spesso si vedono aiuole urbane pacciamate con questi teli di discutibile effetto estetico, coperti poi da lapillo vulcanico…questo si rivela presto un errore, poiché il lapillo tende a disgregarsi e diventa…terra dove possono crescere tranquillamente semi e piante indesiderate… Se la pacciamatura era stata pensata per eliminare o almeno ridurre l’insorgenza di erbe spontanee, in questi casi si ottiene l’esatto contrario aggiungendo la presenza del telo che ostacola la scerbatura manuale dei poveri manutentori.

Il principio della pacciamatura si basa sul non lasciare il terreno esposto ai raggi solari e quindi non innescare il naturale processo che porta alla germinazione di parte di quei 10.000 semi al metro quadrato che in media ogni terreno, per nostra fortuna, contiene.

Si possono usare diversi materiali naturali per pacciamature temporanee o durature: dalla paglia, alle foglie triturate, alle cortecce, al “cippato” derivante dalla triturazione delle ramaglie potate, all’erba sfalciata e alle stesse piante tappezzanti.

Esistono poi tessuti derivati da fibre naturali per pacciamature più durevoli come il cocco e la canapa.

Un altro effetto della pacciamatura con cippato o foglie triturate (di Magnolia ad esempio) è dimezzare l’apporto idrico nelle estati calde. Vedremo alcuni esempi di piante in perfetta salute senza impianto di irrigazione.

A questo si aggiunge la formazione abbastanza rapida di uno strato umifero organico che aiuta le piante nella crescita diminuendo l’uso di concimi.

In molti Paesi africani si sta facendo strada l’uso della pacciamatura con materiali locali triturati che aumentano la produttività dei terreni.

Il cippato di Castagno poi, per l’alto contenuto tannico, ha un potere diserbante naturale anche su erbe resistenti come la Gramigna.

Vediamo alcuni esempi:

Una Salvia sclarea lussureggiante senza irrigazione grazie a pacciamatura con cippato

Aiuola con pacciamatura. Senza acqua le piante si sviluppano in equilibrio

Castello della Manta. Pacciamatura aiuola di Tulipani con cippato di Castagno

Cippato di Castagno in fioriera

Aiuola con Mirto a sx e Jasminum a dx pacciamate con cippato di Castagno

La stessa aiuola di Mirto dopo tre mesi senza irrigazione

Arum italicum…cresce solo lui e l’aiuola è ordinata e non crea lavoro…

Collina di Torino. Rifacimento aiuola. Fasi del lavoro. 1

Rifatto il muretto di sostegno e pulizia dai detriti vegetali e radici. 2

Stesura del telo pacciamante di Juta prima della messa a dimora delle piante. 3

Messa a dimora delle piante in primavera e stesura ala gocciolante. 4

La pacciamatura fatta con gli stessi materiali di risulta del giardino, magari opportunamente sminuzzati con un biotrituratore da hobbisti, è un modo efficace per risparmiare tempo e denaro sulle operazioni manutentive e restituire al giardino il materiale asportato.

Tra le pratiche forestali più avanzate vi è anche la cippatura delle fronde derivanti da operazioni di pulizia, potatura o abbattimento di alberi direttamente sul posto.

Meno legno bruciamo, più tardi liberiamo nell’atmosfera l’anidride carbonica che vi è contenuta e allo stesso tempo incentiviamo quei processi naturali di degradazione organica che danno vita ad equilibri fondamentali.

I giardini utili agli insetti e non solo

Per contribuire ad invertire la marcia o almeno a rallentare la corsa della deriva ecologica che abbiamo innescato, dobbiamo fare ognuno la nostra parte e magari anche quella di chi non la fa.

Utilizziamo il verbo “dobbiamo” perché il possiamo è già fuori luogo…

Chi possiede un giardino o ne sta per aver uno deve essere conscio di poter attivamente dare un contributo.

Accanto agli interventi su larga scala, ai cambiamenti in agricoltura, ai nuovi modi di costruire benessere economico è possibile fin da subito intervenire sulla parte di mondo che ci è data in concessione d’uso, perché che la possediamo o meno si tratta sempre di un uso temporaneo…

Nei giardini storici dei secoli passati, diciamo dai giardini arabi, a quelli cinesi e giapponesi, arrivando a quelli europei fino al 1800 si nota un filo conduttore comune: pur con stili diversi il giardino si pensava in funzione dell’acqua necessaria per alimentarlo.

In tempi in cui le precipitazioni erano abbondanti e meglio distribuite e quindi la risorsa non mancava, si pensava invece ad accumularla e conservarla. Oggi la Regione Piemonte per fare un esempio, non ha ancora attuato il piano di conservazione delle acque meteoriche contro gli incendi boschivi in montagna che predisponeva la raccolta capillare su tutto l’arco alpino, pensato 40 anni fa…

Nelle ville settecentesche disposte su più livelli si trovano sempre cisterne sotterranee che per caduta convogliano le acque delle coperture in fontane o laghetti non solo per bellezza (che non è cosa da poco) ma per praticità e lungimiranza.

Non è raro vedere ancora oggi, giardini privati ma anche interi parchi pubblici irrigati con acque potabili…

Quindi la prima cosa da fare è la raccolta acque che a seconda della necessità può essere interrata o esterna. In ogni caso ricordiamo che da un semplice tettuccio di pochi metri quadrati si può accumulare moltissima acqua. Basta convogliarla!

Cisterna industriale camuffabile con rampicanti…

e la vecchia botte…

Schema di raccolta acque piovane in cisterna interrata. In questo caso si deve prevedere l’uso di una pompa ad immersione

Nei terrazzamenti usati dai floricoltori e orticoltori liguri, le acque piovane vengono raccolte in cisterne chiuse per limitare l’evaporazione. Per caduta, dalla più in alto alla più in basso con un solo temporale si riempiono le vasche che serviranno a irrigare le coltivazioni di tutti…

L’acqua non conosce confini o proprietà, va lasciata passare, guidandone il percorso in modo che non scenda a valle troppo rapidamente erodendo il terreno che ci sfama…

In queste cisterne vengono ancora allevati i Carassi, i pesciolini rossi, perché cibandosi esclusivamente di larve di zanzara risolvono il problema al 90%.

Allo stesso modo se decidiamo di dar vita ad una raccolta d’acqua naturale recuperando una vecchia cisterna/fontana o creando un laghetto artificiale, possiamo ridurre di molto la presenza di questi insetti senza ricorrere ai trattamenti insetticidi su tutto il giardino.

In molti casi il nostro laghetto risolve il problema delle zanzare anche al vicinato…

Oltre ai Carassi possiamo usare anche le Gambusie, un piccolo pesciolino africano protagonista della bonifica delle paludi malariche nell’Agro Pontino.

Gambusia affinis

Per assicurare acqua pulita ed ossigenata ai pesci l’utilizzo corretto di piante acquatiche ossigenanti completano l’opera.

Cisterna/fontana restaurata e i suoi Carassius auratus

Recupero ambientale nel Polo dello Stampaggio Canavesano (TO)

Nel caso dovessimo restaurare una vecchia cisterna, adottando le dovute precauzioni prima di calarsi al suo interno, (meglio contattare ditte specializzate), le nanotecnologie applicate all’edilizia hanno dato vita a malte speciali che sono in grado di impermeabilizzare pareti e fondo in modo durevole ed efficace.

In commercio esistono valide cisterne in vetroresina adatte ad essere interrate e dalle quali è agevole far partire l’impianto irriguo automatico senza usare acqua potabile.

L’impianto irriguo deve essere pensato per non sprecare una sola goccia d’acqua!

Maestri in questo settore sono gli israeliani che offrono modelli e materiali adatti ad irrigare orti, aiuole e prati utilizzando l’acqua nel modo migliore.

Ala gocciolante

Un giardino attento all’ambiente può essere costituito da piante mellifere, cioè utili agli insetti pronubi ma che attirano al contempo farfalle e uccelli e ne abbiamo già sottolineate molte specie durante l’excursus della sessione precedente. I suoi “tappeti erbosi” dovrebbero essere prati misti che comprendano anche specie fiorite e anche qui ne abbiamo già parlato. Non deve sprecare acqua piovana né tantomeno quella da bere.

Se possibile deve prevedere la “dispensa”.

Con questo termine Russel Page, il più grande giardiniere del ‘900, definiva quella zona del giardino adibita a raccogliere gli sfalci, le foglie secche, ecc…

Oggi esistono modelli di compostiere molto discutibili perché nella maggior parte dei casi tendono a diventare maleodoranti e antiigienici depositi di materiale organico…

In tutti i giardini del passato esistevano aree un po’ nascoste dove il giardiniere accorto, separava rami da foglie e erba sfalciata e preparava da sé il terriccio di foglie per i rinvasi o l’ammendante da spargere sul prato.

Eccone un esempio:

Dispensa del giardino. Collina di Torino

Certamente ogni giardino è personalizzato, deve soddisfare le esigenze delle piante e della persona che se ne prende cura, ma se teniamo in buon conto quanto detto finora otterremo anche un giardino a ridotta manutenzione: conoscendo le piante scegliamo quelle che occuperanno il giusto spazio, adatte all’esposizione e al terreno, resistenti alle malattie, ecc…

Il consolidamento dei terreni scoscesi

In un Paese come il nostro il tema della prevenzione dei movimenti franosi, siano essi di piccola entità o di grandi estensioni è all’ordine del giorno.

E’ un problema legato a doppio filo con la corretta regimentazione delle acque meteoriche e in questi tempi soggetti a precipitazioni improvvise e in quantità non consuete le due cose viaggiano di pari passo.

Va fatta però una precisazione: il naturale ciclo della materia vivente o non vivente su questo pianeta prevede lo spianamento delle montagne attraverso l’azione del vento, dell’acqua, dei ghiacciai e anche di piante ed animali.

Oggi assistiamo ad una drammatica accelerazione di fenomeni estremi in aree non preparate ad affrontarle. Ma, come sempre è accaduto, solo la capacità di adattamento alle nuove problematiche è una strategia vincente… Le piante lo sanno da molto prima di noi…

Una delle tecniche che gli umani abitatori dei monti hanno affinato nei millenni per conservare i loro terreni coltivabili è quella dei muretti a secco.

Questa tecnica antica è ora una qualità umana tutelata dall’Unesco e oggi più che mai torna utile non disperdere la conoscenza acquisita.

In Italia, per fortuna, da Nord a Sud, esistono ancora artigiani che conoscono questo lavoro e lo possono tramandare.

L’uso di materiale locale, il suo corretto posizionamento, la fusione con piante e terreni circostanti hanno creato paesaggi in equilibrio su tutto l’arco alpino.

Vediamone un esempio di corretta gestione e manutenzione di questi manufatti sui vigneti di Levone e Forno Canavese (TO)

Le vigne di Levone Canavese (TO)

I Sempervivum e gli arbusti contribuiscono al sostegno e all’arredo del muretto

Vigne di Levone Canavese (TO) lasciar passare l’acqua previene le frane…

Tra i materiali che possiamo usare per la costruzione di muri a secco vi sono in commercio molti manufatti in calcestruzzo che trovano applicazione in giardini moderni ma anche il tufo tagliato in blocchi di varie misure. E’ forse la pietra più usata in Italia per la costruzione di case e sicuramente di più facile posizionamento rispetto a pietre tonde di fiume o a materiali irregolari.

Qui vediamo un esempio del contenimento di un movimento franoso dovuto a ruscellamento superficiale, effettuato col tufo in un giardino privato collinare: tra un blocco e l’altro si sono lasciati volutamente dei passaggi che hanno la doppia funzione di ospitare rosmarini prostrati e lasciare passare l’acqua piovana. Le piante a monte, Camellia sasanqua in questo caso, sono scelte per il loro apparato radicale fine ed esteso adatto a trattenere il suolo e non sono piante di alto fusto per evitare in futuro che il loro stesso peso determini lo smottamento.

Collina di Torino 1

Collina di Torino 2

Collina di Torino 3

Collina di Torino 4

E di seguito il risultato già visibile a distanza di una sola stagione vegetativa (meno di una anno solare). La pacciamatura con cippato ha contribuito notevolmente alla crescita delle piante. Ogni tecnica si lega all’altra…

Collina di Torino 5

Collina di Torino 6

Anche il legno si è sempre rivelato utile nel sostegno dei terreni franosi. Oggi esistono nuove tecnologie applicate a questo materiale che sono la dimostrazione pratica di come tecniche arcaiche si possono fondere coi moderni saperi evolvendo al passo coi cambiamenti: quello che dovremmo fare in ogni ambito della vita…

Non è inconsueto imbatterci in sistemazioni di palificate in legno di Castagno, già nominato per la sua capacità di conservarsi nel tempo (ossificazione) che è tra i più utilizzati nel consolidamento di movimenti franosi anche di grossa entità.

Spesso, ai materiali vanno aggiunte le piante che completano l’opera da un punto di vista estetico e funzionale se chi opera le scelte le conosce! Ormai lo sapete! Batto sempre lì…sulla conoscenza delle piante…

Collina di Rivoli (TO) – 1 – contenimento scarpata a monte di abitazioni con palificate di Castagno

Collina di Rivoli (TO) – 2 – manutenzione della palificata con sostituzione piante

Collina di Rivoli (TO) – 3 – le piante ormai coprono tutta la superficie

Anche le reti in Juta a maglie larghe, specie su pendenze medie e su terreni di riporto possono svolgere un’egregia funzione anti-scorrimento delle acque meteoriche.

Si stendono semplicemente sulla terra nuda, fissandole con picchetti appositi, e formando dei “salami” arrotolati in senso perpendicolare a quello di scolo delle acque. Questo permette al terreno smosso durante un temporale di accumularsi in queste strisce frenandone la corsa a valle.

Si potrà quindi osservare la nascita delle erbe e piante spontanee scegliendo quelle che ci interessano, oppure con idrosemina o messa a dimora di nuove erbacee o arbustive si può completare l’opera senza asportare la rete perché biodegradabile.

Reti in juta su scarpata in inerbimento

Il diserbo non chimico

Personalmente credo che non si possa più porre tempo in mezzo alla decisione di eliminare o almeno limitare ad usi mirati eccezionali, l’uso di diserbanti di sintesi.

Lo hanno capito anche le stesse case produttrici che oggi commercializzano i primi diserbanti biologici che però non trovano ancora grande applicazione per la loro scarsa efficacia.

Accanto alla ricerca per la creazione di prodotti compatibili con la Vita, una contraddizione in termini per un diserbante, crediamo sia utile cominciare ad applicare quelle opere agronomiche e quelle tecniche che sono già disponibili.

Inoltre è opportuno cominciare a capire che non esistono erbacce, malerbe, infestanti, ecc… Come non esistono piante, miracolose o magiche: esistono solo i parametri umani che le classificano.

Le piante sono ciò che sono, né buone, né cattive. Tutte servono, se non altro perché la loro esistenza permette quella di tutti gli altri esseri viventi del pianeta e questo è un fatto.

Quindi, chi si occupa di piante ha il dovere di ricordare agli altri che una strada o un marciapiede “invasi dalle erbacce” o un “tappeto erboso” disturbato nella sua monotonia da qualche foglia più larga delle altre, un paesaggio agreste intervallato da boschi e filari di arbusti sono più ricchi di vita, rispetto agli stessi “ripuliti” dagli intrusi.

Anche questo è un fatto.

Il diserbo chimico con Glifosate, erbicida sistemico che agisce su tutti i vegetali purché germogliati, a differenza degli anti-germinativi che agiscono sui semi appena germinanti,

ha una durata che varia da due a quattro mesi circa secondo le zone. Dopo la sua distribuzione già dal giorno successivo si blocca la crescita delle piante irrorate e in un periodo che va da tre giorni ad una settimana (dipende dalle temperature) tutto si dissecca e muore, radici comprese. Problema risolto? Sì se dobbiamo bonificare un terreno colonizzato da erbacee perenni e ci serve eliminarle per allestire aiuole a bassa manutenzione ad esempio e vogliamo “fare in fretta”… Ma dopo un po’ di tempo, trascorso con l’erba secca sui bordi stradali, sui fossati o sui marciapiedi che ci pare aumentare il degrado e non il contrario, ecco che i 10.000 semi entrano in azione (per fortuna!) e altre piante prendono il posto delle precedenti. Cosa facciamo noi umani allora? Un altro passaggio di diserbante chimico…

Per fortuna esistono altri metodi.

Il termodiserbo, figlio del pirodiserbo, è uno di questi.

Adottato con successo in molti Comuni francesi, svizzeri, tedeschi, ecc…e recentemente anche in Italia dopo la parziale e ambigua messa al bando del Glifosate, può risolvere benissimo il problema.

Come al solito l’esperienza di chi ha cominciato prima può aiutare gli altri. L’effetto del termodiserbo che utilizza aria a 1000 gradi è quello della disidratazione dei tessuti vegetali epigei, e del favorire la germinazione dei semi presenti sul terreno, quindi, dopo il primo passaggio bisogna farne altri a breve distanza di tempo.

Questo, lo avete certamente intuito, è un vantaggio, in quanto eliminiamo più erbe di quelle che vediamo e l’effetto dopo una stagione vegetativa sarà molto più lungo.

Inoltre, possiamo agire più mirati nei passaggi successivi senza coprire centimetro per centimetro tutta la superficie interessata, ma colpendo rapidamente solo le piante che ancora resistono, come il Tarassaco ad esempio, che tende a diventare pressoché l’unico abitante delle aree dove si usa il termodiserbo… Nemmeno male come effetto estetico un marciapiede coi bordi inframmezzati qua e là dal Tarassaco…risponde meglio ai nostri canoni…

Qui di seguito il cortile interno del Castello della Manta dove per metà è stato usato il termodiserbo e per l’altra metà non ancora

Castello della Manta (CN) effetti del termodiserbo

Modello moderno di carrello per termodiserbo professionale

Applicazione pratica, bastano pochi secondi

Ovviamente, trattandosi di fuoco, NON bisogna avvicinarsi ad arbusti, siepi, manufatti in legno o plastici.

Dopo il primo anno, se l’uso è corretto e gli interventi mirati secondo il tipo di piante, le temperature e le stagioni più o meno piovose, i costi sono equiparabili a quelli dell’uso della chimica senza effetti nocivi sull’ambiente, in primis su animali e bambini che sono gli esseri più vicini alla terra per loro…statura!

Esiste anche il diserbo effettuato con getti di vapore acqueo ad alta temperatura che, a mio avviso non sono applicabili in aree urbane affollate per il gran vapore che sprigionano e per l’ennesimo utilizzo dell’acqua che sarebbe meglio usare per far vivere le piante piuttosto che ucciderle siano esse “erbacce” o meno.

Non dimentichiamo che, prima dell’avvento della chimica, i giardinieri diserbavano già.

Intanto la scerbatura manuale non è una pratica vergognosa da metter alla gogna!

Le zappe, i rastrelli e i raschietti o le sante mani fanno certo faticare, ma in ambiti dove il loro uso è possibile (gli orti ad esempio) restano la soluzione migliore e più duratura.

Spesso, invece di eliminare le piante è meglio smettere di lottare inutilmente e lasciarle vincere.

I roseti, ad esempio possono essere belli allo stesso modo se inerbiti…Viole, Oxalis e altre erbacee basse possono essere solo controllate nella loro diffusione e fungere da pacciamatura vivente poiché non lasciano spazio ad altre piante.

I viticoltori biologici sanno bene che la presenza dell’erba tra i filari è importantissima per l’equilibrio del vigneto e tagliano l’erba anziché rivoltarla sotto terra o peggio diserbarla chimicamente.

Una curiosità che viene dall’osservazione di contadini attenti. Sotto i Noci, Juglans regia, la gran parte delle piante erbacee ma anche molte arbustive non si sviluppano o lo fanno malamente, perfino la gramigna. Si potrebbe pensare all’ombra prodotta dal gran fogliame in estate e in parte è vero ma il responsabile vero è il tannino che permane nel terreno dopo l’abbacchiatura delle noci e la caduta autunnale delle foglie.  Ho personalmente imparato da mio nonno a conservare i malli delle noci per farli macerare in acqua per poi distribuirla con un semplice innaffiatoio nei vialetti dell’orto dopo averli ripuliti con la zappa: provare per credere, si risparmiano almeno tre passaggi di zappa l’anno e per la schiena non è poco!

Qui ci salutiamo.

Il corso è terminato ma vi sarete resi conto di quanto vasto sia l’argomento.

Sono a disposizione per chi volesse approfondire temi specifici sui quali si possono organizzare seminari appositi.

Segnalo alcune pubblicazioni dalle quali ho personalmente imparato molto.

Il mestiere di “Giardiniere” è davvero divertente! Si riesce a sperimentare, lavorando con pietre, terra, legno per creare il giardino che ospita piante ed animali, compresi gli esseri umani.

L’esperienza pratica accompagnata al continuo aggiornamento consente di riparare angoli di mondo deturpati, siano pochi metri quadrati del giardino in una villetta a schiera o un intera foresta, ma ci consente anche di creare il giardino che dura nel tempo, perché lo segue, adattandosi ai cambiamenti che sono e restano l’unica cosa certa della vita.

Ringrazio tutti per l’attenzione e la condivisione.

Bibliografia

Maria Luisa Sotti – “Piante a foglia grigia” – Ed. Giorgio Mondadori

Stefano Mancuso – “L’incredibile viaggio delle piante” – Ed. Laterza

Peter Wohlleben – “La vita segreta degli alberi” – Ed. Macro

Richard Mabey – “Il più grande spettacolo del mondo” – Ed. Ponte alle Grazie

Stephen Buchmann – “La ragione dei fiori” – Ed. Ponte alle Grazie

Russel Page – “L’educazione di un giardiniere” Ed. Umberto Allemandi & C.

Autori vari – “Il grande libro dei fiori e delle piante” Selezione dal Reader’s Digest s.p.a

grazie